L’inganno delle dighe

“Le dighe sono sempre state una potente icona del progresso, un’espressione di orgoglio nazionale. Pensiamo per esempio alla prima grande opera mai costruita, la Hoover’s Dam, che incarna la supremazia della tecnologia statunitense. Ancora oggi si rimane impressionati dalla sua struttura e dall’architettura, quasi fascista, tipica delle rappresentazioni del potere degli anni Trenta. Da allora le cose non sono cambiate. Il governo cinese ha voluto la diga di Three Gorges – che è in fase di costruzione e sarà la più grande del mondo, una volta finita – non solo per produrre energia ma anche per imporre l’immagine della Cina come superpotenza mondiale e rafforzare la sua sfida nei confronti degli Stati Uniti”.

Così esordisce Patrick McCully, direttore dell’International Rivers Network di Berkeley in California, che ha appena pubblicato “Silenced Rivers”, un’importante libro sull’ecologia e la politica delle grandi dighe. McCully è venuto in Italia in occasione della Campagna per la riforma della Banca mondiale. Con lui parliamo degli effetti degli sbarramenti posti dall’uomo al corso naturale dei fiumi.

“Al mondo ci sono circa 40 mila grandi dighe (cioè superiori ai 15 metri di altezza, ndr.). Finora, però, nessuno è riuscito a valutare i benefici effettivi che questi sbarramenti avrebbero dovuto portare. Non si riesce a sapere, per esempio, come abbiano assolto i loro compiti di generare energia elettrica, di fornire acqua, di regolare le piene. Comunque, anche se non è possibile avere una valutazione globale, le dighe che ho analizzato nel corso della mia ricerca dimostrano che spesso i benefici vengono gonfiati a dismisura in fase di progettazione e di finanziamento, mentre i costi di costruzione e manutenzione vengono calcolati in modo grossolano”.

Quali sono i principali problemi associati alla costruzione delle dighe?

“Il problema principale è la perdita di terra – non terra qualsiasi, ma la più fertile – dovuta al riempimento del bacino, insieme al danneggiamento di foreste e zone umide che vivono di un delicato equilibrio idrogeologico. Il secondo problema riguarda l’impatto sociale delle dighe, e il numero di persone espulse dalle loro case. Un altro aspetto largamente ignorato è l’effetto a valle degli sbarramenti: la diversione dei corsi d’acqua porta alla scomparsa delle piene, a volte anche alla sparizione dei flussi, o comunque alla riduzione della portata del fiume. Il classico esempio è il prosciugamento del Lago d’Aral, nella ex Urss, uno dei più grandi disastri ambientali della storia, provocato dal dirottamento dei suoi immissari per irrigare i campi di cotone nelle regioni circostanti. Per non parlare poi dei grossi problemi di sicurezza: paradigmatica è la catastrofe di Henan, in Cina, dove nel 1975 la rottura della diga causò la morte di 230 mila persone”.

Proprio la Cina ha il numero massimo di sbarramenti sui propri fiumi. E gran parte dei nuovi progetti sono concentrati nel sud del pianeta. Cosa significa?

“Significa che nell’emisfero nord non c’è praticamente più niente da costruire . Così questa tecnologia viene esportata nei paesi poveri, e addirittura incentivata dalle agenzie di sviluppo, come la Banca mondiale, con sussidi alle imprese dei paesi ricchi. Il settore delle dighe ha un giro di affari di circa 20 miliardi di dollari all’anno. Non stupisce che le società di costruzioni siano molto potenti e abbiano entrature a livello politico. In Svezia una giornalista ha scoperto che spesso i funzionari delle imprese vanno a dirigere le agenzie di sviluppo e viceversa”.

Eppure in molti paesi il movimento contro le dighe cresce…

“In India un coordinamento di comunità locali ha fermato, per il momento, il progetto Sardar Sarovar, una gigantesca muraglia di cemento che dovrebbe causare l’espulsione di 200 mila persone. Spesso i movimenti contro le dighe sono collegati a quelli per la democrazia. E infatti i progetti tendono a concentrarsi in paesi autoritari come la Cina. Ma l’ostacolo maggiore alle dighe è economico: con la privatizzazione e l’aumento dei flussi di capitali esteri, le imprese devono andare da finanziatori privati e convincerli della convenienza dei progetti. Il che non è facile”.

Ma esistono delle alternative alle dighe?

“Per ogni risultato che ci si aspetta da una diga esistono alternative. Per l’energia elettrica ci sono i “Negawatt”, cioè i Watt non consumati con il risparmio e l’efficienza, o quelli prodotti con le fonti rinnovabili, e – nel medio termine – con il gas naturale e i piccoli progetti idroelettrici. Per quanto riguarda i flussi, la filosofia vincente non si basa sul controllo, ma sulla gestione: e cioè consentendo la sopravvivenza di ecosistemi sani lungo i fiumi, permettendo ai corsi di gonfiarsi e sgonfiarsi senza bloccare le piene naturali e proteggendo le popolazioni senza interventi massicci. Per l’agricoltura, gli esperti vanno ripetendo da tempo che non è più possibile aumentare la produzione nelle zone irrigate, ma che bisognerà migliorare i metodi di coltivazione in quelle secche”.

Secondo la Banca Mondiale, in futuro le guerre si faranno a causa dell’acqua e non per motivi ideologici. È d’accordo?

“Nella storia è sempre stato così. Il termine “rivale”, che viene dal latino, indica due persone che si contendono un corso d’acqua. Ma non sono d’accordo quando questo argomento viene utilizzato per giustificare la costruzione delle dighe. Proprio loro sono spesso all’origine dei conflitti. Basta pensare alle tensioni attorno ai progetti dell’Etiopia di sbarrare il corso del Nilo, e della Turchia di costruire una serie di dighe su Tigri ed Eufrate”.

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