Lucy, l’arrampicatrice

Un po’ camminatori, un po’ scalatori. Gli Australopithecus afarensis, ominidi vissuti oltre tre milioni di anni fa diventati famosi grazie a Lucy, avevano abitudini locomotorie a metà tra quelle degli uomini moderni e delle scimmie antropomorfe. Nonostante fossero bipedi, infatti, questi ominidi continuavano a salire sugli alberi, e molto probabilmente erano ottimi arrampicatori. A sostenerlo in uno studio pubblicato su Science sono David Green della Midwestern University e Zeresenay Alemseged della California Academy of Sciences, entrambe negli Stati Uniti. A supporto della loro ipotesi ci sono prove concrete: due scapole complete appartenenti allo scheletro di Selam, il fossile di una bambina afarensis rinvenuto nel 2000 a Dikika, in Etiopia.

“Sono trent’anni che la comunità scientifica cerca di capire se gli Australopithecus afarensis fossero esclusivamente bipedi o se si arrampicassero anche sugli alberi”, ha spiegato David Green:  “I nostri straordinari ritrovamenti fossili dimostrano che in questo stadio dell’evoluzione umana gli individui erano ancora in parte degli scalatori”. I ricercatori hanno speso 11 anni per separare le scapole di Selam dal resto dello scheletro incastonato dentro a un blocco di arenaria. Un’operazione delicata ed eccezionale, dal momento che si tratta delle prime scapole di A. afarensis a esser ritrovate integre. Queste ossa, in effetti, sono molto sottili e raramente fossilizzano se non in modo molto frammentario.

Dopo averle isolate, i ricercatori le hanno digitalizzate e accuratamente misurate per cercare di ricostruirne i movimenti. Le hanno inoltre comparate con quelle appartenenti a parenti più o meno lontani: scimpanzè, gorilla, oranghi, esemplari di Homo ergaster, Homo floresiensis, Australopithecus africanus, Australopithecus afarensis adulti e uomini moderni. Dall’analisi è emerso che le scapole di Selam sono molto simili a quelle delle scimmie antropomorfe. In particolare, la cavità articolare scapola-spalla è rivolta verso l’alto come nelle antropomorfe, chiaro segno di abitudini arboricole. Negli uomini, invece, l’articolazione guarda inizialmente verso il basso per poi rivolgersi all’esterno man mano che l’individuo matura. D’altra parte, il bacino, gli arti inferiori e il piede di Lucy avevano già dimostrato che gli A. afarensis erano bipedi.

Questi ominidi sarebbero dunque un mix di vecchie e nuove abitudini, ancora non perfettamente umani ma sulla buona strada per diventarlo, almeno per ciò che riguarda la locomozione. Una cosa è certa, gli antenati degli uomini moderni hanno abbandonato gli alberi più tardi di quanto si pensava, probabilmente perché erano ancora un ottimo posto dove cercare cibo e protezione in un ambiente ostile.

Via: Wired.it

Credits immagine: Zeray Alemseged/Dikika Research Project

1 commento

  1. Congettura: l’ipotesi che l’Ardipithecus ramidus fosse un primate canterino (condizione in cui comportamento canterino, monogamia ed occupazione dell’habitat di volta arborea sembrano costituire nei primati una strategia evolutivamente stabile) potrebbe contenere in se la soluzione di due enigmi della nostra evoluzione: l’origine del bipedismo e quella del linguaggio. E’ stato recentemente dimostrato come la postura bipede negli oranghi sia un adattamento alle condizioni locomotorie imposte dalle volte arboree. Sia le Indridae che le Hylobatidae (i primati canterini di maggiori dimensioni), proprio perché occupano stabilmente un habitat di volta e disdegnano il suolo, le poche volte che vi si trovano adottano una andatura bipede. Un ominino canterino cui fosse venuto a mancare l’habitat di volta a causa del diradamento delle foreste avrebbe avuto la strada spianata sia verso l’andatura bipede che verso la comunicazione acustica come forma preferenziale di relazione intersoggettiva, essendo obbligato a trasformare il suo canto di specie (non più praticabile come tale al suolo a causa della maggiore azione dei predatori) in richiami più brevi attraverso l’inserzione di suoni consonantici.

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