Abbiamo risolto il mistero della massa mancante, forse

massa mancante
(Credits: NASA/CXC/CfA/Kovács et al.)

Stelle, pianeti, persone. Siamo tutti composti dagli stessi atomi che si trovano sulla tavola periodica e che formano la materia che conosciamo. Eppure, secondo i calcoli, una parte di quella materia, incredibilmente, non si trova. E non è una parte da poco: circa un terzo di tutta la massa dell’Universo non si trova, ma all’appello. Si parla di materia convenzionale, ben distinta dalla materia oscura. I nuovi dati elaborati dall’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) e provenienti dal telescopio della Nasa Chandra potrebbero aiutare a svelare il mistero, suggerendo che la massa mancante possa trovarsi nei filamenti di gas, che come una ragnatela si estendono nello spazio intergalattico. Un lavoro di questo tipo era già stato avviato dall’italiano Fabrizio Nicastro, che aveva collaborato proprio con il CfA.

Il mistero della massa mancante

Da osservazioni ormai consolidate, gli astronomi hanno calcolato quanta massa dovrebbe esserci nell’Universo. Questa massa si sarebbe formata pochi minuti dopo il Big Bang, stabilizzandosi dopo circa un miliardo di anni nelle forme oggi più note: polvere cosmica, gas e tutti gli oggetti spaziali che possono essere osservati al telescopio. Il dato della massa calcolata dopo il Big Bang è stato poi confrontato con quello di tutta la materia osservabile e quest’ultima risultava minore di circa un terzo. Questa massa “nascosta”, distinta dalla materia oscura, ha impegnato gli scienziati per decenni e finora nessuno era mai stato in grado di individuarla con certezza.

Un’idea su dove si trovi la massa mancante ha a che fare con i filamenti intergalattici, ricordano dalla Nasa. Si tratta di enormi strisce di gas che può essere caldo (temperatura inferiore a centomila gradi Kelvin) o caldissimo (temperatura superiore a centomila gradi Kelvin). Questi filamenti sono noti come Whim (Warm-Hot Intergalactic Medium) e formano una specie di ragnatela che si estende fra le galassie. I Whim non si possono osservare con la normale luce visibile, ma alcuni di essi sono stati individuati grazie all’ultravioletto. I ricercatori del Cfa hanno messo a punto una tecnica che ha fornito evidenze sul fatto che la massa mancante possa trovarsi nei Whim più caldi.

I nuovi dati di Chandra

I nuovi dati discussi oggi dagli scienziati provengono da Chandra, un telescopio spaziale della Nasa lanciato nel 1999 e sensibile ai raggi X. Chandra è stato progettato per misurare l’emissione di raggi X proveniente dalle regioni più calde dell’Universo, come stelle esplose, cluster di galassie e materia rotante attorno ai buchi neri. Questa volta, Chandra è stato usato per osservare i filamenti intergalattici che avrebbero dovuto essere lungo il tragitto di una quasar, un nucleo galattico estremamente luminoso, che emette una grande quantità di raggi X e che dista tre miliardi e mezzo di anni luce dalla Terra. Se questi filamenti fossero stati Whim molto caldi, il loro contenuto di gas avrebbe dovuto assorbire una parte dei raggi X emessi dalla quasar. Gli scienziati, attraverso Chandra, hanno cercato proprio quella traccia di assorbimento dovuta al gas caldo dei filamenti.

Ma non si tratta di impresa facile, tutt’altro. Uno dei maggiori problemi relativi a questa misura riguarda l’intensità del segnale. L’assorbimento da parte dei Whim è molto piccolo se paragonato al totale dei raggi X ricevuti dalla quasar. Il team guidato da Orsolya Kovacs ha, quindi, messo a punto una tecnica per migliorare la precisione della misura. Invece di concentrarsi su tutto lo spettro di radiazioni X, gli astronomi hanno selezionato un intervallo specifico, migliorando l’intensità del segnale e rendendolo più facilmente distinguibile dal rumore o da fluttuazioni casuali.

Sapere dove cercare

Per far questo prima di tutto gli scienziati hanno individuato delle galassie, tutte alla stessa distanza dalla Terra, che si trovano vicino la linea di congiunzione Terra-quasar (vedere le galassie è più semplice), usate per ipotizzare spazialmente presenza e lunghezza dei filamenti. Una volta stimato il numero di filamenti e la loro lunghezza i ricercatori sono riusciti a restringere la porzione di spettro elettromagnetico in cui cercare gli assorbimenti.

Grazie all’emissione ultravioletta di queste galassie, sono stati così confermati 17 possibili filamenti di gas e la loro relativa dimensione. A causa dell’espansione dell’Universo, che stira la luce mentre viaggia, gli assorbimenti di raggi X da parte della materia proveniente dai 17 filamenti hanno subito il redshift, cioè lo spostamento verso il rosso della luce proveniente da sorgenti che si allontanano dalla Terra. L’entità dello spostamento verso il rosso dipende dalla lunghezza del filamento. In questo modo, il team è riuscito a individuare le zone precise in cui cercare gli assorbimenti. “È come cercare un animale in una pianura sterminata”, ha spiegato Akos Bogdan, co-autore della ricerca, “Sappiamo che gli animali hanno bisogno di bere, per cui, per cercarli in modo efficiente ha più senso guardare nei pressi delle pozze d’acqua”. Selezionando piccole porzioni dello spettro, e cercando solo in quelle porzioni gli assorbimenti dei filamenti, gli astronomi sono riusciti a migliorare l’intensità del segnale.

Massa mancante, mistero risolto?

I dati raccolti hanno mostrato prove della presenza di ossigeno, che però si troverebbe in un plasma alla temperatura di circa un milione di gradi Kelvin. Grazie a questo, gli scienziati sono riusciti a calcolare che la materia totale che si troverebbe in tutti i filamenti, in tutto l’Universo, corrisponderebbe precisamente alla quantità di massa mancante. “È stato emozionante scoprire una parte di quella materia nascosta”, ha dichiarato un altro co-autore, Randall Smith, al sito della Nasa. “In futuro speriamo di poter riapplicare il nostro metodo ad altre quasar, per confermare definitivamente che il mistero della massa mancante è stato finalmente risolto”.

Riferimenti: Nasa, The Astrophysical Journal

(Credits immagine di copertina: NASA/CXC/CfA/Kovács et al.)

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