FINO ai primi del Novecento sarebbe rimasto un genio misconosciuto, ignorato, completamente dimenticato. Tanto che egli stesso, Gregor Johann Mendel (1822-1884), abate di Brno, in Moravia, avrebbe finito per abbandonare gli studi che tanto lo avevano entusiasmato nel giardino del suo monastero. Peccato, avrebbe scritto poco prima di morire a un amico, che nessuno avesse preso in seria considerazione le sue ricerche. Eppure Mendel sarebbe passato alla storia come il padre della genetica, perché lì, nel suo monastero, incrociando per anni piante di piselli, aveva scoperto le leggi che regolano la trasmissione dei caratteri ereditari. Trasformando completamente il nostro modo di intendere la natura e gettando le fondamenta della strada che negli anni a venire avrebbe portato alla medicina personalizzata, all’ingegneria genetica, alla terapia genica, alla biologia sintetica, alla genetica forense. Una strada lunga più di 150 anni e a cui è dedicata oggi la mostra “Dna. Il grande libro della vita da Mendel alla genomica” dal 10 febbraio al 18 giugno al Palazzo delle Esposizioni a Roma.
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