Contro la siccità, ecco le piante che consumano meno acqua

via Pixabay

Nonostante l’agricoltura consumi il 90% delle riserve di acqua dolce disponibili, i raccolti attuali non sono sufficienti per nutrire la popolazione in crescita del nostro pianeta. Senza cambiamenti sarà difficile ottenere un aumento del 70% della produzione agricola entro il 2050, una quota necessaria per tenere il passo con il tasso di crescita della popolazione. Per cercare una soluzione a questo problema, un gruppo di scienziati di un progetto internazionale, chiamato Realizing Increased Photosynthetic Efficiency (RIPE), ha sviluppato una tecnica volta a far sì che le piante conservino più acqua, riducendone il consumo del 25%, senza però compromettere la produzione. Il tutto semplicemente alterando l’espressione di un solo gene che è condiviso da tutte le piante. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.

“Si tratta di un enorme passo avanti”, ha commentato  Stephen Long, direttore del RIPE. “I raccolti sono aumentati costantemente negli ultimi 60 anni, ma la quantità di acqua necessaria per produrre una tonnellata di grano è rimasta la stessa, il che ha portato molti a pensare che tale elemento non possa essere cambiato. La nostra ricerca apre la porta a possibili sviluppi futuri che possono permetterci di raggiungere questo importante risultato”.

Nella ricerca, gli autori sono intervenuti su una coltura di tabacco, spesso utilizzata come pianta modello, in quanto facile da modificare e testare. Aumentando i livelli di una proteina fotosintetica (PsbS) cresceva anche la quantità di acqua conservata dalla pianta. La proteina, infatti, è collegata al meccanismo di apertura e chiusura degli stomi delle piante, microscopici pori delle foglie che giocano un ruolo importante nella fotosintesi e nella fuoriuscita dell’acqua durante questo processo. Aumentando la quantità di PsbS, sono riusciti a far chiudere parzialmente gli stomi delle piante. Quando aperti, infatti, gli stomi fanno entrare l’anidride carbonica necessaria ad alimentare la fotosintesi, ma permettono allo stesso tempo all’acqua di fuoriuscire durante il processo di traspirazione.

In particolare, i ricercatori hanno utilizzato la luce per stimolare l’apertura e la chiusura degli stomi. I fattori che possono influenzarne il funzionamento sono infatti quattro: l’umidità, i livelli di anidride carbonica all’interno della pianta, la qualità e la quantità di luce. La proteina PsbS fa parte di una serie di segnali che trasmettono alla pianta informazioni su quanta luce è disponibile. Aumentando la proteina, dunque, il messaggio trasmesso è che non c’è abbastanza luce per iniziare la fotosintesi, il che innesca la chiusura degli stomi, in quanto non è necessario accumulare anidride carbonica per alimentare il processo.

Così, il team è riuscito a migliorare l’efficienza delle piante, aumentando del 25% il rapporto tra la quantità di anidride carbonica in ingresso e di acqua in uscita, senza significativi sacrifici dal punto di vista della produzione. L’apertura completa degli stomi, infatti, non è necessaria: poiché la quantità di anidride carbonica nella nostra atmosfera è aumentata circa del 25% negli ultimi 70 anni, le piante sono infatti in grado di accumularne abbastanza senza dover aprire completamente i loro stomi.

“Rendere le colture più efficienti dal punto di vista del loro consumo di acqua è probabilmente la più grande sfida per i botanici di oggi e del futuro,” ha concluso Johannes Kromdijk, che ha presto parte alla ricerca. “I nostri risultati mostrano come aumentando l’espressione di PsbS possiamo far conservare più acqua alle piante, una scoperta che pensiamo aiuterà a distribuire meglio le risorse acquatiche disponibili durante il periodo della crescita e per renderle più produttive durante la siccità.”

Riferimenti: Nature Communications

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