Meteorologia, dove l’eccezione è la norma

“La fine di ottobre più fredda degli ultimi 150 anni”: questo il tenore dei più recenti titoli di quotidiani e telegiornali. Ma non si diceva, appena due settimane fa, che assistevamo all’autunno più caldo del secolo? Che sia proprio vero che le stagioni non sono più quelle di una volta, come autorevolmente sostenuto da migliaia di pensionati nelle loro discussioni al bar e ai giardinetti? Galileo ha girato la domanda a Oreste Reale, Phd all’Università del Maryland (Usa) e ora ricercatore del Gruppo di fisica del tempo atmosferico e del clima, presso il Centro internazionale di fisica teorica di Trieste.

Allora, dottor Reale, il clima sta cambiando?

“La prima cosa su cui fare chiarezza è che da singoli eventi eccezionali, quali appunto la sesta temperatura massima e l’ottava minima degli ultimi 150 anni per il mese di ottobre, registrate negli ultimi giorni, non si può assolutamente trarre alcuna conclusione sull’evoluzione del clima. Le temperature medie stagionali e annuali ne verranno influenzate di pochissimo. Le variazioni delle temperature medie di anno in anno sono, infatti, dell’ordine di pochi decimi di grado. Il secolo scorso, per esempio, è stato caratterizzato da temperature medie inferiori a quelle del nostro e ha conosciuto quattro massimi assoluti di temperatura, a tutt’oggi non superati. Gli eventi eccezionali, che sono poi quelli che restano nella memoria delle persone, non servono quindi a capire il senso dei cambiamenti climatici. I media rendono un pessimo servizio alla società quando sparano titoli sensazionali, alimentando allarmismi catastrofistici di cui non si sente assolutamente il bisogno”.

Lei stesso, però, ci ha appena detto che le temperature medie di questo secolo sono superiori a quelle del secolo scorso …

“Certamente. Da sempre, e a tutte le latitudini, il clima è variato seguendo oscillazioni naturali che possono essere percepite solo su lunghi periodi di tempo. Basta ricordare le glaciazioni, l’ultima delle quali culminò 19 mila anni fa, ricoprendo di ghiacciai mezza Europa. Ma lo stesso Plinio se ne era accorto: infatti, nella sua “Storia Naturale”, citava autori del 500 a.C., che raccontavano dell’esistenza di boschi di faggio nei dintorni di Roma. Plinio sapeva, invece, che al suo tempo, cinque secoli dopo, il faggio cresceva solo in media montagna e ne dedusse che a Roma il clima s’era fatto più caldo”.

Esistono, invece, testimonianze di periodi particolarmente freddi?

“Molti non sanno che dal 1500 al 1850 ci furono temperature così basse da entrare nella storia della meteorologia come “la piccola glaciazione”. Attendibili fonti storiche parlano di regolari gelate del Tamigi, come pure delle lagune dell’alto Adriatico, da Comacchio a Panzano. E il ghiaccio era così spesso da poterci camminare sopra. Il clima quindi cambia, ma per capirlo è necessaria la conoscenza di molti dati meteorologici su un lungo periodo: diciamo che cent’anni di misurazioni di temperatura, piovosità, pressione, vento, costituiscono la base minima per un’analisi seria”.

La tendenza al riscaldamento globale, che sembra un dato certo, potrebbe dunque far parte di un ciclo naturale. Quindi l’aumento delle emissioni di anidride carbonica provocato all’uomo non avrebbe alcuna influenza?

“Su questo problema penso che non solo i media a livello internazionale, ma anche la comunità scientifica abbia qualche responsabilità. Non credo di sbagliare nell’affermare che la percezione generale del problema del riscaldamento globale sia quello di una catastrofe annunciata e alquanto imminente. Ebbene, non è così. O per lo meno nessuno può dirlo con certezza. Basti pensare che al culmine dell’ultima glaciazione, si è calcolato che le temperature medie fossero di 8 gradi centigradi inferiori a quelle attuali, mentre negli ultimi 150 anni si è registrato un aumento di circa mezzo grado: la scala del fenomeno è ancora troppo piccola per dare adito a certezze. L’esperimento fatto con il modello di Hansen nel 1979, quello che dette origine alla teoria del riscaldamento globale dovuta alle emissioni antropiche di anidride carbonica, ipotizzava un aumento medio di temperatura di 8 gradi centigradi a seguito di un aumento del 100% di anidride carbonica nell’atmosfera. Ma quel modello viene oggi considerato assolutamente primitivo. Nuovi studi, più sofisticati, indicherebbero un aumento di 1,2 gradi soltanto, e neppure su questo dato c’è unanimità di vedute. Intendiamoci, anche un aumento medio su scala globale di queste proporzioni avrebbe effetti rilevanti”.

Questo significa, forse, che gli accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni non sono altro che spreco di tempo e denaro?

“No, assolutamente, anzi ben vengano. Noi siamo certi che un raddoppio dell’anidride carbonica, dal quale siamo peraltro ben lontani, aumenterebbe l’effetto serra, con gravi conseguenze climatiche. Tuttavia autorevoli scienziati, che non riescono ad attrarre l’attenzione dei media, ridimensionano di molto tali conseguenze e propongono scenari meno catastrofici. Inoltre, da scienziato, mi irrita che si faccia una cosa giusta, come ridurre le emissioni, con un movente sbagliato, ossia l’ipotizzata catastrofe in atto. Il movente è giusto dal momento che c’è un rischio, anche se remoto, di causare una catastrofe. E una società pensante certi rischi non li corre”.

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