Ambiente

Le capesante sono piene di nanoplastiche?

L’inquinamento della plastica nei mari e negli oceani è un problema ambientale globale che sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza di molte specie marine e non solo. Le particelle di plastica possono infatti risalire la catena alimentare arrivando a minacciare anche la salute umana. Per esempio nascoste dentro  frutti di mare come le capesante, molluschi di importanza commerciale notevole insieme a cozze, ostriche e vongole, capaci di assorbire nel giro di poche ore miliardi di particelle di plastica piccolissime. Ma quanta plastica ci può essere in una capasanta? A rispondere a questa domanda è uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology.

Un mondo di plastica

Nel 2016 la produzione mondiale di materie plastiche è stata pari a circa 335 milioni di tonnellate, di cui circa il 40% rappresentato da prodotti monouso, che rischiano di rimanere in circolazione molto a più lungo di quanto creduto. Anche se poco o nulla visibili ai nostri occhi, infatti, abbandonate nell’ambiente questi prodotti, anche per effetto degli ultravioetti, si frammentano in microplastiche e poi via via in particelle sempre più piccole, le nanoplastiche. E non si tratta solo di prodotti di scarto: le nanoplastiche sono sono anche create intenzionalmente a scopi commerciali per vernici, adesivi, prodotti biomedici e cosmetici. Che effetto ha tutta questa plastica sull’ambiente (e di conseguenza sulla nostra salute)? Numerosi fino a oggi sono stati gli studi che hanno tentato di analizzarne gli effetti in diverse specie marine, ma si tratta di ricerche condotte per lo più in condizioni sperimentali non-realistiche, con concentrazioni di nanoframmenti molto più alte del normale, spiegano i ricercatori a capo del nuovo studio, che hanno affrontato il problema con un nuovo approccio.

Capesante cattura-nanoplastiche

Il team guidato da Maya Al Sid Cheikh della University of Plymouth ha esaminato l’assorbimento, la degradazione e la depurazione delle nanoplastiche da parte nelle capesante atlantiche, Pecten maximus (mollusco comune nel Mar Mediterraneo, in Scozia, Inghilterra e Irlanda, di notevole importanza commerciale, noto anche come pettine di mare o conchiglia di San Giacomo).”Per questo esperimento abbiamo dovuto sviluppare un approccio scientifico nuovo, fabbricando nanoparticelle di plastica nei nostri laboratori e incorporando delle ‘etichette’ così da tracciarle all’interno delle capesante, esposte a concentrazioni ambientali realistiche”. Nel dettaglio i ricercatori hanno utilizzato particelle di nanopoliestere radiomarcato, che potevano essere visualizzate e rintracciate tramite autoradiografie.

La scansione mostra le nanoparticelle di platica accumulate in una capasanta: branchie (GI), reni (K), gonadi (GO), intestino (I), fegato-pancreas (HP) muscoli (M). Credit: University of Plymouth.

Già dopo 6 ore le radiografie mostravano un accumulo di miliardi di nanoparticelle nelle capesante: alcune nell’intestino, altre disperse nel corpo intero, compresi reni, muscoli, branchie e altri organi. Ma se a mangiarle hanno fatto presto, più lunga è stata l’eliminazione delle particelle di plastica: una volta messe in acqua di mare pulita, i molluschi hanno impiegato settimane per depurarsi. Per la precisione, due settimane per le particelle più piccole e fino a 48 giorni per quelle di dimensioni maggiori.

Un primo passo per comprendere gli effetti a lungo termine

“Conoscere le modalità con cui piccolissimi frammenti di plastica sono assorbiti attraverso le membrane biologiche e si accumulano negli organi interni è essenziale per valutare quale sia il rischio per la salute umana e di altri organismi viventi con i quali entrano in contatto”, ha concluso Theodore Henry della Heriot-Watt University, tra gli autori del paper. Il prossimo passo, ha continuato, sarà ora quello di studiare gli effetti di queste nanoparticelle sul lungo termine.

Riferimenti: Environmental Science and Technology

(Credits immagine copertina: University of Plymouth)

Susanna Villa

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