Mutilazioni genitali femminili in calo, ma c’è il rischio di un’inversione di tendenza

mutilazioni genitali
(Foto via Pixabay)

Più di 200 milioni di donne nel mondo hanno subito mutilazioni genitali, secondo quanto riporta l’Oms. Ma almeno in alcune zone dell’Africa la pratica, che consiste nella rimozione del clitoride o delle labbra minori o maggiori della vagina, è in diminuzione. Sono importanti passi avanti, affermano gli autori di uno studio pubblicato su BMJ global health, ma c’è ancora molto da fare.

Mutilazioni genitali in calo

Lo studio esamina dati raccolti su 200 mila bambine (0-14 anni) in 27 stati africani e 2 del Medio Oriente. In generale, le informazioni disponibili indicano un calo significativo: negli ultimi 20-25 anni si è passati dal 70 all’8% di casi nell’Africa Orientale, dal 60 al 14% nel Nord e dal 70 al 25% nell’Ovest del continente. Trend opposto, invece, nei due stati mediorientali: in Yemen e Iraq le mutilazioni genitali femminili sono aumentate del 20%.

Difficile dire se, a livello mondiale si siano fatti sostanziali passi avanti nella lotta alle mutilazioni genitali. Lo studio, infatti, non comprende molti paesi dove sono praticate: l’India, l’Indonesia, Israele, la Malesia, la Tailandia ed gli Emirati Arabi. E nemmeno i paesi occidentali, come l’Italia, dove queste pratiche sono arrivate con i flussi migratori.

Ancora 3 milioni di bambine a rischio in Africa

Nonostante i cali registrati, si stima che solo in Africa ogni anno ci siano 3 milioni di bambine a rischio: “Se lo scopo è assicurare che la pratica sia eliminata – spiegano i ricercatori – c’è un urgente bisogno di interventi e piani d’azione”. Bisogna scongiurare anche una pericolosa inversione di tendenza, perché i fattori di rischio sono molti, spiegano gli autori: dalla mancanza di educazione, alla povertà, alla visione della mutilazione come una strategia di marketing matrimoniale. Inoltre, i dati si basano su dichiarazioni personali, che possono portare a sottostimare la realtà.

I risultati dopo vent’anni

L’attenzione internazionale sulla pratica delle mutilazioni genitali femminili risale al 1997, quando OMS e UNICEF rilasciarono una dichiarazione congiunta contro la pratica. Da allora 26 stati in Africa e Medio Oriente e 33 paesi occidentali hanno l’hanno vietata. Ma se l’usanza è radicata nella cultura di una comunità, è difficile che la legge sia rispettata. Spesso l’operazione viene effettuata in casa, dalle stesse madri, in condizioni igieniche che aumentano il rischio di infezioni e mortalità. In molte culture le mutilazioni genitali sono considerate una norma sociale, un passaggioche prepara la bambina al matrimonio e ne preserva la verginità, un valore che all’occorrenza, va certificato. Sottoponendo la donna a un vero e proprio test di verginità.

Prossimo obiettivo: abolire il test di verginità

Lo scorso 17 ottobre il Consiglio per i diritti umani dell’ONU e l’OMS con una dichiarazione congiunta hanno chiesto a tutti gli stati di vietare il test di verginità. Pratica anch’essa diffusa in molti paesi (in alcuni casi gli stessi dove si praticano le mutilazioni genitali femminili) per provare che una donna, spesso ancora una bambina, è conforme al matrimonio. Il test – che non ha nessuna base scientifica – consiste nel verificare l’integrità dell’imene introducendo due dita: un trattamento doloroso, umiliante e traumatico che può avere gravi conseguenze fisiche, psicologiche e sessuali. Senza considerare che – in molti casi- la perdita della verginità è conseguenza di uno stupro.

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