Neonati, individuato un possibile marcatore della “morte in culla”

morte in culla
Immagine di Fujikama via Pixabay

Il terrore di tutti i neo-genitori, la morte in culla – o Sids, acrononimo che viene dall’inglese sudden infant death syndrome – rimane la principale causa di decesso nel primo anno di vita nei paesi occidentali. Oggi un gruppo di ricerca del Children’s Hospital di Westmead, a Sydney, ha identificato il primo potenziale biomarcatore associato, una firma biologica che aiuterebbe a riconoscere neonati e bebè a rischio di questa temibile sindrome. I piccoli con bassi livelli di un enzima chiamato butirrilcolinesterasi sarebbero infatti più esposti al fenomeno, stando ai dati pubblicati su eBioMedicine, rivista del gruppo Lancet. Qualora confermati, i risultati potrebbero aprire nuove strategie di intervento preventivo contro la morte in culla.


Il mistero della Sids? E’ nel cuore dei neonati

Quelle morti nella culla


Cercare le cause della morte in culla

La morte in culla determina il decesso improvviso del bambino entro il primo anno di vita – più spesso entro i primi 5 mesi – in assenza di altre cause o patologie note. Questo evento rimane un problema da non sottovalutare: in Italia riguarderebbe circa 1 neonato su 2mila. In precedenza gli scienziati hanno attribuito un ruolo, in questa sindrome, a una disfunzione del sistema nervoso autonomo. Oggi tre ricercatrici del centro australiano, guidate da Carmel Harrington, hanno deciso di approfondire l’argomento, studiando un enzima coinvolto nel buon funzionamento di questo sistema, la butirrilcolinesterasi, che ha una parte importante anche nei meccanismi fisiologici del sonno e del risveglio.

Una firma della patologia?

Le ricercatrici hanno analizzato 722 campioni di sangue, dal 2016 al 2020, di cui 26 appartenenti a neonati e bebè deceduti a causa della Sids e 41 morti a causa di altre patologie; li hanno poi comparati con quelli di oltre 600 campioni relativi a un gruppo di controllo, necessario per il confronto. Il test si è svolto tramite una semplice analisi del sangue, subito dopo la nascita (dal 2° al 4° giorno di vita), per misurare i livelli della butirrilcolinesterasi. Stando ai risultati, i bambini morti a causa della Sids presentavano concentrazioni più basse di questo enzima. La scoperta si deve al gruppo di Carmel Harrington, a capo del team, scienziata che ha perso suo figlio proprio a causa della Sids e che ha dedicato tutte le sue energie e il suo interesse scientifico alla lotta a questa terribile patologia. “Si tratta del primo studio – si legge nella pubblicazione – che individua un marcatore biochimico nei neonati colpiti da Sids, prima del loro decesso, che segnala una differenza rispetto ai casi nel gruppo di controllo e a quelli colpiti da altre cause di morte”.

Come interpretare i risultati

I casi analizzati sono ancora molto limitati e saranno necessari approfondimenti per confermare il collegamento; tuttavia lo studio indica una direzione importante per la ricerca. Il biomarcatore potrebbe in futuro rappresentare un segnale cui prestare attenzione rispetto al rischio futuro di morte in culla.

I cambiamenti rilevati nei livelli dell’attività di butirrilcolinesterasi sono piccoli, come ha sottolineato in un commento su Science Media Centre lo scienziato Peter Fleming, docente di Salute dell’infanzia all’università di Bristol. L’esperto parla di una differenza “molto piccola, significativa a livello della popolazione [se presente su vasti campioni statistici ndr] ma non del singolo”, sottolineado che circa la metà dei neonati colpiti dalla morte in culla aveva valori simili a quelli dei bambini sani. Insomma, per ora lo studio è preliminare, anche se ben costruito e condotto, e non tale da poter già ipotizzare uno screening del genere.

La morte in culla , in numeri

In Italia circa lo 0,5% dei nuovi nati (1 su 2mila) risulta colpito dalla morte in culla, secondo quanto riportato dal Ministero della Salute, una percentuale che corrisponde a circa 250 casi all’anno. Tuttavia, non ci sono dati nazionali ufficiali sul fenomeno, visto che manca un sistema di rilevazione omogeneo. Alcune misure si sono rivelate efficaci, in alcuni casi, nel prevenire la morte in culla, che rimane comunque presente. Fra le misure – disponibili per esempio sulla pagina dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù – far dormire e adagiare il bambino sempre supino (sulla schiena) ed evitare di posizionarlo sul fianco.

Via Wired.it