“Nessuna semplice ricetta”

Quello delle fonti di energia è uno dei principali temi intorno a cui si gioca il futuro dell’umanità. Occorre conciliare in modo soddisfacente esigenze apparentemente contraddittorie: non compromettere il livello di benessere raggiunto nei paesi industrializzati, favorire lo sviluppo dei paesi del Sud del mondo, salvaguardare – e migliorare – la salute del pianeta. Non è impresa facile: sono in gioco non solo questioni che riguardano direttamente lo sfruttamento delle fonti di energia, ma anche la protezione dell’ambiente e l’economia mondiale. Sulla complessità della situazione attuale e sui possibili sviluppi futuri abbiamo rivolto alcune domande a Umberto Colombo, presidente del LEAD-Europa e già ministro per la Scienza e la Tecnologia.

Scarsezza delle risorse esauribili, inquinamento ambientale, sfruttamento troppo limitato delle fonti rinnovabili. Professor Colombo, quali sono i termini del problema energetico oggi?

A livello mondiale, la scarsità delle fonti esauribili di energia non è ancora un problema preoccupante. Le riserve di combustibili fossili sono abbondanti, il mercato non dà segnali di allarme, i prezzi non accennano ad aumentare, anche se è chiaro che, prima o poi, diminuirà il rapporto fra riserve accertate e consumi annui di petrolio e gas, e questo non potrà non riflettersi sui prezzi di queste fonti.

In questi ultimi anni stanno diventando schiaccianti gli indizi di un’accentuazione dell’effetto serra per effetto dei consumi di combustibili fossili. Ritengo quindi che la questione dell’ambiente e del clima sia l’aspetto più critico della problematica energetica. Anche se non disponiamo di una prova scientifica inoppugnabile della relazione causa-effetto fra emissioni di gas serra e riscaldamento del clima, credo che sia ormai una esigenza irrinunciabile l’adozione di politiche “no regret” volte a prevenire l’aumento di emissioni, e, anzi, a ridurle consistentemente nei paesi industrializzati, fino a che non siano disponibili soluzioni innovative che consentano di diminuire drasticamente la dipendenza dai combustibili fossili.

E’ quindi importante che ciascun paese metta in atto politiche volte a rispettare gli impegni presi a Kyoto per la riduzione delle emissioni. Questo apre tutta una serie di opzioni, dato che non c’è una ricetta semplice e uguale per tutti. E’ bene che ogni paese rifletta sulle diverse opzioni percorribili, tenendo conto delle proprie caratteristiche in termini di risorse disponibili, di struttura della propria economia, di ambiente, e tutto questo facendo in modo che le politiche da attuare nell’immediato siano coerenti con strategie di più lungo termine.

Quali sono i problemi più urgenti da risolvere?

Sono in atto nel mondo alcune tendenze positive, che è necessario assecondare e, per quanto possibile, accentuare. Penso alla penetrazione del gas naturale nel sistema energetico, in sostituzione parziale di carbone e petrolio, e penso anche all’aumento continuo dell’efficienza d’uso dell’energia, che si traduce in minori consumi di fonti energetiche a parità di andamento dell’economia.

Quest’ultima tendenza è particolarmente significativa, e attiene alla crescente importanza delle nuove tecnologie, soprattutto di quelle informatiche e delle comunicazioni (ICT, Information and Communication Technologies) e dei nuovi materiali strutturali e funzionali. Questa tendenza è destinata ad accentuarsi via via che si diffonderanno le nuove biotecnologie e le nuove fonti energetiche rinnovabili. L’innovazione tecnologica in senso ambientalmente favorevole è un fattore di modernizzazione da perseguire ad ogni costo, e non solo in relazione alla problematica energetica.

Questo porta a concludere che darsi una strategia di ricerca scientifica e tecnologica, e, a monte di questa, di miglioramento della qualità della risorsa umana grazie a una formazione più avanzata, sia un’azione a un tempo strategica e urgente. Molti paesi si sono resi pienamente conto di queste priorità e agiscono di conseguenza; in altri paesi (fra cui, mi dispiace dirlo, l’Italia), alle affermazioni più o meno rituali di consenso non fanno seguito azioni adeguate.

La questione è difficile, perché ciò che si richiede è uno sforzo senza precedenti di innovazione, non solo scientifico-tecnologica, ma anche economica e politico-istituzionale, per il quale occorre una volontà ampiamente condivisa. Ciò detto, non posso esimermi da indicare altre priorità in materia energetica. Fra queste, la concentrazione dell’attenzione dei decisori pubblici su alcuni interventi a carattere sistemico volti a ridurre gli sprechi di energia là dove questi sono più evidenti, per esempio, nel traffico urbano e nei trasporti.

Guardando all’economia mondiale, quali sono le scelte energetiche che lei considera migliori, a medio e lungo termine?

Se per scelte energetiche ci si riferisce alle fonti da privilegiare, è chiaro che occorre ridurre i consumi di carbone (la fonte che, a parità di contenuto energetico, emette la maggior quantità di gas serra), contenere quelli di petrolio, far penetrare maggiormente il gas, e, soprattutto, puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, incoraggiando ricerca, sviluppo e dimostrazione pratica fino a renderle convenienti in termini di costi.

C’è, poi, da riprendere in considerazione l’energia nucleare, ora che è possibile analizzarne la sicurezza in termini più pacati e riflessivi di quanto sia accaduto immediatamente dopo Chernobyl. Sotto l’aspetto del clima globale, l’energia nucleare è incomparabilmente meno devastante dei combustibili fossili, ma è improbabile che essa diventerà una fonte accettabile dalla società finché non si verificheranno le seguenti condizioni:

– dimostrazione della fattibilità tecnico-economica di una nuova generazione di reattori dotati di sicurezza “passiva”;

– disponibilità di tecnologie assolutamente tranquillizzanti per tutte le fasi del ciclo del combustibile nucleare, fino alla eliminazione delle scorie;

-soluzione del problema della proliferazione di armamenti nucleari.

Mi sembra evidente, in ogni caso, che per assicurare un futuro alle energie rinnovabili e al nucleare (anche nella prospettiva di uno sviluppo a lungo termine della fusione nucleare), è necessario che queste fonti si possano confrontare, sotto il profilo economico, con combustibili fossili il cui prezzo rifletta le diseconomie legate alle emissioni di gas serra. Oltre all’idro-elettricità (che presenta un potenziale ancora molto rilevante nei paesi in via di sviluppo), e considerando la fonte eolica impiegabile solo nei paesi con un regime dei venti favorevole, credo che il solare foto-voltaico e le biomasse siano, in prospettiva, le fonti rinnovabili su cui contare per il futuro a lungo e lunghissimo termine, e quelle su cui riversare il maggior sforzo di ricerca e sviluppo.

Il fatto è che prezzi attuali delle fonti fossili sono così bassi da rendere non competitive le fonti alternative. Se non si vuole aspettare che arrivi il momento in cui i prezzi di petrolio e gas aumenteranno consistentemente per l’approssimarsi del loro esaurimento, occorre introdurre elementi correttivi. Mi riferisco, per esempio, all’imposizione di una cospicua tassa sulle emissioni (che potrebbe essere applicata mantenendo costante il prelievo fiscale complessivo, diminuendo gli oneri relativi al fattore “lavoro”, e quindi contribuendo a ridurre la disoccupazione). Alcuni paesi si stanno muovendo in questa direzione, anche se con provvedimenti di entità modesta rispetto a quanto sarebbe desiderabile per conseguire l’obiettivo sopra indicato. Ma è già molto aver rotto un tabù che non era facile da superare, visti i notevolissimi interessi contrari.

Quanto può incidere il risparmio di energia sull’equilibrio energetico?

Il risparmio energetico, concepito come la riduzione degli sprechi in tutto il ciclo dell’energia e l’adozione delle tecnologie energetiche più efficienti, conta moltissimo già da oggi, ed è destinato a contare sempre di più. Ciò detto, si deve aggiungere che non è facile contabilizzare il risultato di politiche di risparmio energetico, perché, come ho accennato prima, siamo in presenza di una tendenza all’aumento di efficienza d’uso dell’energia, che è poi connesso colla cosiddetta “dematerializzazione” dell’economia (è noto che produrre beni con minore materia comporta in generale l’uso di minore energia). In queste condizioni, si corre il rischio di attribuire alle politiche attuate anche meriti che non sono loro.

Si deve poi aggiungere che, se si volesse andare oltre gli obiettivi di Kyoto e perseguire più stringenti traguardi di risparmio energetico, le politiche “no regret” potrebbero rivelarsi del tutto insufficienti. In questo caso, sarebbe necessario, a livello di Agenzia Internazionale dell’Energia, se non addirittura delle Nazioni Unite, definire una sorta di “piano di emergenza” capace di portare a una riduzione globale delle emissioni di gas serra dell’ordine del 15-20% per ogni decennio. Questo piano, però, è destinato a restare un pio desiderio in assenza di una diffusa presa di coscienza da parte dei cittadini sull’intreccio energia-ambiente-economia, e di un cambiamento sostanziale di molte politiche lassiste, i cui effetti si ripercuotono sul clima e sull’ambiente.

Il piano potrebbe in parte basarsi sull’applicazione di tecnologie per “sequestrare” il biossido di carbonio, che è il più importante gas serra emesso nella combustione delle fonti fossili di energia, e nella sua re-immissione nel sottosuolo o nei fondali oceanici, in modo da sottrarlo all’atmosfera. Sono attualmente allo studio diverse opzioni tecnologiche, dall’assorbimento chimico alla separazione con membrane, all’uso di solventi, alla criogenia, ma è necessario approfondire questi studi con adeguate sperimentazioni, in grado di mettere in evidenza vantaggi e costi delle diverse opzioni, che potrebbero essere applicabili già nel medio termine in grandi impianti fissi, come le centrali termoelettriche.

Ritiene che le risorse rinnovabili possano rappresentare una soluzione per il futuro?

Non ho dubbi sul fatto che le energie rinnovabili rappresentano uno dei pilastri su cui si reggeranno i sistemi energetici del futuro. Una volta esauriti i combustibili fossili (o limitati solo per usi più nobili che valorizzino la loro struttura molecolare, come la petrolchimica, anziché per ottenerne energia attraverso la loro combustione), sarà necessario basarsi su fonti alternative. A quel punto, l’alternativa è fra una ripresa in forza del nucleare e uno sviluppo deciso dell’energia solare e delle altre fonti rinnovabili a essa assimilate (biomasse, eolico, geotermia…). In realtà, più che un’alternativa fra nucleare e fonti rinnovabili, la scelta migliore sarebbe quella di portarle avanti entrambe, data la loro complementarità, poiché l’energia elettronucleare si presta per impianti di potenza relativamente grande, e per una gestione dall’alto della produzione e distribuzione, mentre le energie rinnovabili sono di regola più adatte a sistemi decentrati e a una gestione dal basso.

Allo stato attuale, tuttavia, lo sviluppo delle energie rinnovabili è limitato dalla loro scarsa competitività economica nei confronti degli idrocarburi, tranne che in condizioni molto particolari. Inoltre, finora sono di fatto venuti a mancare incentivi alla ricerca e allo sviluppo di queste fonti, incentivi analoghi a quelli che nei primi decenni del secondo dopoguerra furono dispiegati per favorire l’affermazione del nucleare. Occorre quindi non aspettare che il mercato dia segni di scarsità di fonti fossili attraverso massicci aumenti di prezzo: questa attesa comporterebbe un ritardo fatale nell’attivazione delle ricerche sulle fonti rinnovabili, impedendo una ordinata transizione del sistema energetico. Per questo motivo, è bene integrare i meccanismi di mercato con precise azioni pianificatorie, ed è questo il compito che solo i governi possono assumersi.

Quali sono gli Stati che, secondo lei, stanno conducendo una buona politica energetica?

Il Giappone ha dimostrato di perseguire una strategia coerente di miglioramento continuo dell’efficienza energetica e di riduzione della dipendenza dai combustibili fossili. In Europa, considero positivamente le politiche energetiche olandese, danese e norvegese; (quest’ultimo paese sta sperimentando anche tecnologie di sequestrazione del biossido di carbonio). Anche la politica energetica della Francia è stata molto efficace, ancorché eccessivamente incentrata sul nucleare, e quindi sotto certi aspetti vulnerabile.

In Italia, paradossalmente, l’assenza di una politica energetica attuata con continuità e determinazione ha finito col far profittare il paese del regime di bassi costi internazionali del petrolio e del gas, che si è stabilito dalla metà degli anni ‘80 e che dura ancora. Il fatto che il nostro sia un paese di industrializzazione più recente rispetto ad altri paesi europei ha una contropartita positiva, che si riflette in una maggiore efficienza energetica nel settore industriale, e nel peso più rilevante che hanno nel nostro parco di autovetture quelle a bassa cilindrata e, specie negli ultimi anni, a consumi energetici specifici piuttosto bassi. Ciò non toglie che sia giunto il momento di definire obiettivi strategici in tema di energia e ambiente, e di creare le condizioni per raggiungerli utilizzando per quanto possibile le forze del mercato.

Gli Stati Uniti hanno, come è noto, i consumi energetici più alti fra i grandi paesi industrializzati, ma è da quel paese che ci si devono attendere anche per il futuro i maggiori progressi tecnologici anche per quanto riguarda l’efficienza energetica, e, sotto il profilo politico, delle innovazioni volte a mettere in gioco le forze di mercato per diffondere le nuove tecnologie senza pesanti interventi dall’alto. Negli scorsi anni, un esempio in proposito è stata la vendita dei “diritti di emissione” (se un paese non può ridurre le proprie emissioni secondo quanto stabilito a livello internazionale, può impegnarsi finanziariamente a ridurre in uguale proporzione le emissioni in un altro paese, tecnologicamente meno avanzato, ndr), proposta che è stata accolta in linea di principio anche a livello internazionale nell’ambito degli accordi di Kyoto.

Ma non bisogna credere che le politiche più interessanti vengano solo dai paesi industrializzati: la Repubblica Popolare di Cina, ad esempio, è ben cosciente delle proprie responsabilità ambientali e del peso della propria politica energetica ai fini del riscaldamento del clima globale. Per questo motivo essa cerca di orientare le scelte energetiche verso tecnologie moderne, che consentano di migliorare la prestazione generale del suo sistema energetico. Ma la Cina deve essere aiutata, tecnologicamente ed economicamente, in questo suo sforzo, perché la sua economia cresce a un ritmo molto sostenuto, e il carbone è in pratica la fonte energetica su cui il paese basa il proprio futuro, almeno per i prossimi 30-40 anni. Se si considera che in Cina vive più di un quarto dell’intero genere umano, sostenere la Cina in questo suo sforzo finanziando impianti energetici basati sulle tecnologie efficienti e pulite di uso del carbone, finisce coll’essere, da parte dei paesi ricchi, la dimostrazione di un atteggiamento, per dirla con le parole dell’indimenticabile Aurelio Peccei, di “long-term, enlightened self interest”.

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