A Roma è in corso il Festival delle scienze, giunto quest’anno alla sua nona edizione e incentrato, come vi avevamo raccontato, sul tema del linguaggio, una delle “caratteristiche più straordinarie e distintive della specie umana”. Tra gli appuntamenti della kermesse – che andrà avanti fino al 26 gennaio e di cui Wired è media partner – la lectio magistralis di Nicla Vassallo, docente di filosofia teoretica all’università di Genova, tenutasi oggi al Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica della capitale. Vassallo parlerà dei linguaggi della sessualità, esplorando i significati di parole come sesso, genere, maschio/femmina e uomo/donna. Ecco cosa ci ha raccontato la filosofa.
Nicla Vassallo, la sua lectio magistralis si intitola I linguaggi della sessualità. Perché non usare la parola “sesso”? Quali sono le differenze?
“Sesso è una parola estremamente ambigua. Indica semplicemente l’appartenenza a femmine o maschi, posto che esistano solo questi due sessi e che la distinzione non sia frutto di una nostra ingenua caratterizzazione. Anche la locuzione fare sesso è riduttiva rispetto all’idea di una sessualità adulta, legata a reciprocità e amore: fare sesso è spesso riferito a un’attività fisica che non prevede alcun tipo di coinvolgimento psichico o personale. È per questo che il linguaggio è importante: affermare ‘amo fare sesso‘ suona un po’ come dire ‘amo sciare‘. La sessualità, invece, coinvolge la persona in senso ben più ampio. Non è solo un esercizio per i muscoli”.
Quanto è importante il linguaggio quando si tocca il tema della sessualità?
“Molto. Perché, come dicevo riguardo alla parola sesso, usiamo troppo spesso termini ambigui, che hanno diversi significati e riferimenti nella realtà. Pensiamo per esempio a tutte le parole che abbiamo a disposizione per indicare gli organi sessuali. In ambito sessuale esiste una sovrabbondanza di linguaggio molto più forte che in altre aree. E sessualità e linguaggio sono strettamente legate.
“Il linguaggio umano è diverso da quello degli animali non umani, proprio come il modo di vivere la sessualità degli esseri umani è diverso rispetto a quello animale, in cui è prevalente l’aspetto riproduttivo. È fondamentale, quindi, coniugare linguaggio e sessualità. Il linguaggio esprime un pensiero e un modo di vivere: se si usa un linguaggio migliore si vive la sessualità in modo più ricco. La volgarità che di solito si usa per descrivere la sessualità può essere indice di pensieri e comportamenti volgari”.
Come si inserisce in questo discorso la tematica delle perversioni sessuali?
“È un tema complesso. Anzitutto perché è estremamente difficile definire cos’è una perversione: di fatto, il concetto è mutato nel tempo e nelle culture. La prima volta che comparve il termine nel dizionario Webster, per esempio, erano definite perversioni sia l’omosessualità che l’eterosessualità. In ogni caso, se dal punto di vista psicologico esistono classificazioni che permettono di stabilire cosa sia una perversione e cosa non lo sia, dal punto di vista filosofico e del linguaggio ancora non è stata elaborata una definizione del concetto. Anche perché è complesso e forse impossibile chiarire il significato del termine normalità: e dunque, allo stesso modo, è complesso chiarire il termine perversione, che alla normalità si contrappone”.
In che modo il linguaggio può aiutare a superare il dualismo uomo/donna?
“Bisogna anzitutto distinguere tra maschio/femmina, le cui definizioni devono essere elaborate dalla biologia e dalle neuroscienze (come in effetti è avvenuto, anche se certa parte della filosofia ancora non lo accetta) e uomo/donna, che invece attiene alla filosofia, perché indica appartenenza a un genere e a una società. Secondo me, questa distinzione non ha senso di esistere. E andrebbe eliminata: si tratta di una mera costruzione sociale che contiene molti pregiudizi (uomo attivo, donna passiva, uomo razionale, donna impulsiva, per esempio) e genera comportamenti deleteri per la realizzazione personale.
“Dove sta scritto che per essere un vero uomo o una vera donna mi devo comportare in un certo modo? È una distinzione troppo riduttiva. Io non sono solo una donna. Sono qualcosa di più complesso, frutto di un background personale, sociale e culturale diverso da quello di un’altra donna o di un altro uomo. Non si può attribuire un’importanza così forte all’appartenenza di genere. Un giorno questo dualismo sarà superato. È un po’ come quello che avvenne nel secolo scorso, quando i nazisti distinguevano le persone in base al fatto che avessero gli occhi azzurri o meno. Con la differenza netta di genere perdiamo troppe individualità”.
Linguaggio, sessualità e Rete. Cosa sta succedendo?
“L’anonimato garantito dalla rete ha innescato il cosiddetto fenomeno dello hate speech. Gli insulti in cui, senza palesare la propria identità, si fa uso di termini volgari e offensivi attinenti alla sfera sessuale. A mio avviso, comportamenti del genere sono indice di mancanza, nella realtà ‘vera‘, di identità personale e ricchezza culturale e sessuale. Si tratta, per lo più, di persone sessuofobe e frustrate, per cui l’assunzione di comportamenti volgari è l’unica valvola di sfogo.
“In questo, naturalmente, la Rete non ha alcuna colpa. Internet, di per sé, è uno strumento dalle enormi potenzialità e del tutto neutrale. Ritenere la Rete responsabile dello hate speech sarebbe come dare la colpa alla penna. Non è altro che uno strumento. Se qualcuno la usa come corpo contundente, la colpa è solo sua.
Via: Wired.it
…ma di che cosa si sta parlando?
non esiste uomo e donna?
Ma da chi siete stati generati? Siete stati “impastati nel fango”?
E’ discriminatorio affermare di essere un uomo (o una donna)?
Comincio a vedere una “discreta” pericolosità nella deriva che queste teorie stanno facendo prendere al pensiero comune.
Per fortuna mia figlia di 6 anni non mi chiama ancora “genitore 1” (o genitore 2… meglio non discriminare anche il “2”…) e non ha alcun problema a identificare un maschietto se gli vede fra le gambe un pene (pardon… un “pisellino”).
Rilassatevi e prendetevi un po’ meno sul serio…