No al commercio delle tigri

La proposta del governo cinese di riaprire il commercio nazionale della tigre e dei prodotti da essa derivati, bandito dal 1993, potrebbe avere effetti gravissimi sulla situazione critica di questa specie. La denuncia arriva dal Wwf e da Traffic, il network creato dall’associazione ambientalista e dall’Iuncn (Unione mondiale per la conservazione) impegnato nel monitoraggio del commercio di specie selvatiche. Da migliaia di anni la tigre è utilizzata nella medicina tradizionale asiatica. Al mondo restano oggi appena cinque mila esemplari. “La nostra preoccupazione è che i bracconieri, che vivono in prossimità delle ultime popolazioni selvatiche di tigri, possano ucciderle per alimentare il mercato illegale che si svilupperà ai margini di questo commercio legale”, sostiene Susan Lieberman, direttrice del Wwf Global Species Programme. Il bando del commercio nel 1993 aveva frenato la domanda di pelli e altre parti di tigre proveniente da stati come India, Nepal, Bhutan e Indonesia. “La Cina aveva dato un esempio positivo, imponendo dure sanzioni. Un simile passo indietro non ha senso, soprattutto considerando le alternative alla medicina tradizionale”, dichiara Steven Broad, direttore esecutivo del Traffic International. Potrebbe essere il colpo di grazia a una specie in via d’estinzione. (t.m.)

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