Non è mai troppo tardi

Per tutti noi della classe V A della Scuola elementare Fratelli Bandiera, a Roma, Alberto Manzi non era l’uomo della Tv, quello che le anziane del quartiere ancora riconoscevano e ogni tanto fermavano per la strada. Non era il maestro di “Non è mai troppo tardi”, la trasmissione Rai che aveva insegnato a leggere e a scrivere un milione di italiani (questa sera la prima parte della fiction su Rai Uno a lui dedicata). Non era nemmeno l’autore di “Orzowei”, il pluripremiato libro per ragazzi di cui a mala pena riconoscevamo la sigla dello sceneggiato in tv (quella dei mitici Oliver Onions).

Alberto Manzi era semplicemente il Maestro. Soprattutto era il “nostro” maestro. Quello che ogni tanto scompariva dalla classe per qualche giorno – lasciandoci nelle mani di supplenti disperate – per presentarsi davanti alle varie Commissioni del Ministero della Pubblica Istruzione, richiamato all’ordine per aver infranto qualcuna delle regole scolastiche. I voti in pagella, per esempio: una sorta di marchio che si rifiutava di apporre su un bambino che sarebbe cambiato di lì a qualche mese, imparando, evolvendo, crescendo. Non era un uomo remissivo: lo sentivamo imprecare fuori della porta della classe, con la rabbia di chi sa di stare subendo un’ingiustizia. Eppure poi tornava da noi, dopo la sospensione, mai scoraggiato e mai domato nelle sue convinzioni. E così, insieme, si aspettava la sospensione successiva.

Era l’uomo che, quando eravamo stati particolarmente buoni, srotolava davanti ai nostri occhi sgranati la gigantesca pelle di anaconda che conservava nell’armadietto dei tesori, insieme ad animali sotto spirito, ossa, pietre, testimonianze dei suoi viaggi misteriosi. Raccontava delle sue incursioni, più o meno clandestine, in Sud America, del suo amico – il missionario Don Giulio – con il quale condivideva altre ribellioni alle tirannie ma anche l’impegno per l’alfabetizzazione delle popolazioni locali. Racconti a metà tra la verità e la leggenda, di cui solo in età adulta abbiamo capito il valore. Allora erano solo le straordinarie avventure di un uomo straordinario.

Era quello che ci insegnava a parlare senza paura di sbagliare. Che invece di darci le risposte preconfezionate ci chiedeva “tu che ne pensi”, ed era veramente interessato alle nostre opinioni sui grandi temi: la democrazia, la politica, l’immigrazione (ed erano gli anni Settanta). Era quello che ci guidava nel mondo, letteralmente: con il suo aiutante Rodolfo, grazie al quale aveva introdotto le basi dello scoutismo nella classe, abbiamo passato più tempo fuori dalle aule scolastiche che dentro. Gite e scorribande ovunque, per giocare, stare insieme e aprirsi alla vita, nel bene e nel male: sul bordo della caldera del Vesuvio, al teatro greco di Siracusa o nei campi di Dachau. Era quello che ci insegnava ad avere fiducia in noi stessi, a sviluppare la curiosità per i fatti del mondo, a conservare il rispetto per le cose e per le persone. Era davvero il nostro Maestro.  

Via: Wired.it

Credits immagine: Matteo Bisanti via  OggiScienza/Flickr

Dall’archivio di Galileo, leggi anche Ricordo di Alberto Manzi, trascrizione fedele dei nastri registrati durante la discussione nata dalla domanda del maestro: che cosa è la democrazia?

3 Commenti

  1. Grande Elisa, hai proprio ragione!
    Il nostro maestro era una persona straordinaria, il fatto che fece “Non è mai troppo Tardi” in TV gli diede notorietà, ma lui è stato grande a prescindere.
    Non tutti sanno che non venne neanche pagato per fare quel servizio, incredibilmente utile per tutta l’Italia, venne usato da i media di allora per fare odiens, ma noi sappiamo bene che fu lui ad usare la Rai per fare quello che gli premeva di più:
    INSEGNARE!!!!!!!!!!!!
    La trasmisione lo fece conoscere, ma le battagli contro il sistema per cambiare il metodo d’insegnamento, le perse ai me quasi tutte. Oggi si ricordano che è esistito, speriamo che abbiano imparato da lui, lui credo delle commemorazioni ne farebbe a meno, se servisse a far capire qualcosa a chi ci governa.
    Un saluto.
    Un alunno di Alberto Manzi

  2. il pensiero espresso nell’articolo è quello condiviso da tutta la classe VA, anche se il Nostro maestro ci ha insegnato sempre di ragionare con il nostro cervello ed esprimere le nostre opinioni senza che nessuno le calpesti, anzi ad unisono la parola di tutti noi.

  3. Condivido alcune considerazioni da ex bambina di quella scuola. Ero in prima quando tu eri in quinta e, per ammissione di mia mamma che mi avrebbe voluto nella tua classe, alla fine è stato bene così. La maestra che mi capitò era molto “manziana” e sostenitrice dell’aprirsi sul mondo. “Sfruttò” anche il tuo maestro e dopo averci organizzato di vedere il lupo, le diedi il tormento anche per vedere i barattoli di reperti, che ammirai, qualche anno dopo, con gli occhi sgranati. Chissà che non abbia avuto a che fare con il fatto che poi sia diventata naturalista.
    Comunque anche un approccio un po’ più tradizionale ha avuto il suo peso. Voglio dire che ho frequentato successivamente parecchii degli studenti di Manzi (agli scout di S. Francesca C., nel quartiere e alle medie) e avevano più difficoltà nello studio e a raggiungere i risultati tradizionali che ci sia aspetta da uno studente/un ragazzo di una certa età. Ovvio che sono solo considerazioni e non la prova scientifica di niente, ma con il senno di poi ho preferito l’insegnante elementare (di origine africana) che ho avuto. Ovvio anche che non si intende sminuire la figura complessiva del Maestro.

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