“Non perdiamoli di vista”

Il rischio di un impatto catastrofico di un asteroide o di una cometa sulla Terra è reale e non va sottovalutato. È quanto sostiene Andrea Milani, ricercatore dell’Università di Pisa, in un articolo pubblicato su Science. Basta guardare la superficie devastata della Luna: una chiara dimostrazione che la collisione con oggetti anche di dimensioni ragguardevoli non è affatto un evento raro. Il nostro pianeta, essendo geologicamente attivo e quindi in continua trasformazione, non mantiene prove così evidenti di questo bombardamento, ma alcune tracce sono comunque rimaste. Nel 1908, a Tunguska, in Siberia, un asteroide di diametro compreso fra 50 e 70 metri distrusse migliaia di chilometri quadrati di tundra. Se fosse caduto in un’area densamente popolata, sarebbe stata sicuramente una strage. Quella che avvenne probabilmente 65 milioni di anni fa, quando un asteroide di 10 chilometri di diametro provocò un’esplosione da 100 milioni di megatoni (ovvero 5 miliardi di volte più potente della bomba nucleare sganciata su Hiroshima), lasciando un cratere di 180 chilometri in Messico. L’ipotesi che l’estinzione dei dinosauri, avvenuta proprio nello stesso periodo, sia stata causata dagli effetti dell’impatto è sempre più accreditata.Una recente stima ha suggerito che la frequenza di collisioni possa essere dell’ordine di uno ogni mille anni. Ovviamente, eventi catastrofici come quello del Messico sono molto rari, ma può essere sufficiente un asteroide di dimensioni molto più piccole per provocare danni gravissimi, perfino l’estinzione del genere umano. Per questo motivo la Nasa ha accettato nel 1998 di raggiungere entro dieci anni il cosiddetto “Spaceguard goal”, ovvero la catalogazione del 90 per cento di tutti gli oggetti di diametro superiore a 1 chilometro la cui orbita è a rischio di impatto con la Terra. Gli oggetti dell’indagine sono gli asteroidi, generalmente orbitanti tra Marte e Giove, e le comete, presenti oltre Nettuno. A causa di perturbazioni gravitazionali, alcuni di questi corpi celesti possono finire su orbite instabili che intersecano quella terrestre. In linea di principio, una volta noti alcuni parametri, l’orbita di ogni singolo oggetto è ben determinata, ma in realtà i calcoli sono molto più complessi e viene generalmente adottato un approccio probabilistico. In base a questo metodo, ogni singolo oggetto può dover essere osservato più volte, anche per diversi mesi: solo quando la probabilità di impatto risulta essere trascurabile l’asteroide viene escluso dalla lista nera.Milani, però, suggerisce un progetto più ambizioso dello “Spaceguard goal”, per puntare alla catalogazione anche degli oggetti di dimensioni minori. Ma c’è bisogno della collaborazione della comunità scientifica che, secondo il ricercatore italiano, preferisce invece indirizzare i suoi sforzi su campi di ricerca ritenuti più fondamentali, come, per esempio, la cosmologia. A torto, sostiene Milani, e per due motivi. Innanzitutto perché l’importanza di una scoperta scientifica si misura anche dalla sue implicazioni pratiche: evitare l’estinzione degli esseri umani è probabilmente una priorità assoluta. Inoltre, lo studio di asteroidi e comete è estremamente interessante nell’ottica delle ricerche di sistemi planetari extrasolari e i modelli teorici non possono non includere i loro effetti.Ma il problema più difficile da affrontare rimane ancora come intervenire nel caso che si presenti un caso reale di impatto. Non esistono attualmente delle tecniche in una fase di sperimentazione tale da essere utilizzate in una situazione di emergenza. Recentemente si è svolto in Virginia (Usa) una conferenza su questo argomento, organizzata dalla Nasa. La conclusione più significativa è rappresentata dall’impegno dell’agenzia spaziale di finanziare missioni future per comprendere la struttura interna degli asteroidi. Senza queste informazioni, il rischio maggiore nel tentare di deviare l’orbita di un asteroide in collisione sarebbe quello di distruggerlo in mille pezzi incontrollabili. Anche l’agenzia spaziale europea (Esa) farà la sua parte. La missione Don Quijote, alla quale sta lavorando lo stesso Milani, è costituita da due navicelle separate, una delle quali verrà fatta collidere contro un asteroide selezionato. L’altra, a distanza di sicurezza, studierà gli effetti dell’impatto e, successivamente, si avvicinerà per studiare la composizione interna del corpo celeste. Solo se tutti questi progetti diventeranno realtà, nel caso si presentasse nel prossimo futuro un’eventualità come quella del film ‘Armageddon’, l’umanità potrà veramente sperare in un lieto fine.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here