Oppiacei, l’Italia s’è desta

Le cure palliative sono un diritto. E gli oppiacei vanno prescritti e somministrati ogni qualvolta ve ne sia necessità, per controllare il dolore. Da questo punto di vista, gli italiani sono sempre più consapevoli e informati, secondo quanto emerge dall’indagine demoscopica svolta da Ipsos per conto della Federazione cure palliative (Fcp), presentata in occasione del XV congresso nazionale della Società italiana di cure palliative (Sicp).

Condotta su un campione di 800 persone, l’indagine mostra come rispetto al 2000 sia cresciuta del 7 per cento la quota di coloro che dichiarano di sapere cosa sono le cure palliative, passando dal 38 al 45 per cento (ma il 21 per cento, però, ancora le confonde con le cure omeopatiche). E’ cresciuto anche il livello di informazione sulle strutture che forniscono questa assistenza, passando dall’11 al 20%, come anche la consapevolezza dei cittadini: l’80 per cento della popolazione le ritiene utili, necessarie e di competenza principalmente del sistema sanitario nazionale. Per quanto riguarda le strutture hospice e il loro modello organizzativo, solo il 24 per cento ne è a conoscenza. La maggior parte della popolazione, in caso di necessità, preferirebbe l’assistenza domiciliare (70%) all’hospice (21%).

Dalla ricerca è inoltre emerso, novità assoluta rispetto ai dati dell’indagine del 2000, che oltre l’80 per cento della popolazione approva l’uso degli oppiacei per il controllo del dolore severo. Questa necessità è espressa soprattutto dai soggetti più informati e in particolare da coloro che hanno avuto familiarità con il problema. A fronte di questi progressi nella conoscenza e percezione delle cure palliative, in gran parte del paese il diritto a queste cure non è garantito, non esiste una legge unitaria che regoli l’applicazione delle cure palliative e la prescrizione di oppiacei per una buona terapia del dolore dei malati terminali resta complicata.

“Ogni anno ci sono 250 mila malati terminali, di cui 160 mila oncologici e 90 mila affetti da altre patologie, che dovrebbero avere diritto a un’assistenza di fine vita in strutture dedicate, gli hospice, o a domicilio, con personale adeguato e preparato”, spiega Furio Zucco, direttore dell’unità di cure palliative, terapia del dolore, hospice e ospedalizzazione domiciliare, dell’azienda ospedaliera G. Salvini di Garbagnate.  “Solo il 40 per cento dei malati oncologici ha accesso a un programma di cure palliative ma, purtroppo, solo meno dell’1% dei non oncologici.  Tutti gli altri vengono assistiti in maniera estemporanea e discontinua. E questo a 10 anni dalla legge 39, che ha finanziato le regioni per la realizzazione degli hospice”. Proprio in questi giorni è prevista la definizione e l’approvazione dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’inclusione al loro interno di specifici interventi di cure palliative, sia a domicilio sia in hospice. Ciò, sperano gli operatori sanitari, contribuirà a superare le disomogeneità oggi presente tra regione e regione, che vede alcune offrire un servizio avanzato e altre in forte ritardo. (r.p.)

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