In generale, per chi viaggia in treno o in aereo piuttosto che in auto o bus, il rischio di tromboembolia venosa (Vte) è relativamente basso: circa 1 su 6.000. Ma chi trascorre quattro o più ore stando incollato al sedile rischia il doppio. A queste conclusioni è giunto uno studio condotto nell’abito del World Health Organization research into global hazards of travel project presentato oggi a Ginevra presso la sede dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms).
I più comuni casi di Vte sono la trombosi venosa profonda (Dvt), che colpisce specialmente gli arti inferiori e si manifesta con dolore, debolezza e gonfiore, e l’embolia polmonare, che si verifica quando un coagulo in una vena profonda delle gambe si stacca migrando fino ai polmoni. Due evenienze che, se combinate, possono avere esiti letali, e che sono entrambe favorite dalla stagnazione del sangue nei vasi.
Lo studio mostra che il rischio di incorrere in queste patologie cresce in ragione di diversi fattori: l’obesità, per esempio, così come l’altezza superiore o inferiore alla media (più di 1,90 o meno di 1,60 metri), l’uso di contraccettivi orali, l’ereditarietà. Ma più esposti sono anche i viaggiatori che compiono molti voli in un lasso di tempo ristretto. Il rischio di essree colpiti, infatti, rimane anche una volta scesi dall’aereo, per circa quattro settimane.
Per scongiurare emboli e trombosi al momento i viaggiatori non possono far altro che cercare di muoversi il più possibile, pur restando seduti: articolando le caviglie e le anche, per esempio. L’importante, dicono gli autori dello studio, è però che siano al corrente del pericolo, specie se i soggetti a rischio. Per questo, le autorità aeroportuali, le compagnie aeree e i medici devono informarli adeguatamente. (m.b.)