Perché Einstein era un genio?

Non sempre le dimensioni fanno la differenza. Il cervello di Albert Einstein ad esempio era piuttosto piccolo: pesava infatti appena 1.230 grammi, contro i 1.500 di uno nella media. Eppure deve esserci una ragione in grado di spiegare come mai un cervello così piccolo potesse generare tanta, geniale, intelligenza. È quanto deve aver pensato il gruppo di ricercatori guidato da Dean Falk della Florida State University che ha analizzato al dettaglio 14 foto inedite del cervello del grande scienziato, scoprendo alcune caratteristiche anatomiche potenzialmente in grado di spiegarne il genio. Quali, lo racconta uno studio pubblicato sulla rivista Brain.

Le foto analizzate provengono dall’autopsia effettuata alla morte di Einstein dal patologo Thomas Harvey, il quale prelevò il cervello, sezionandolo in 240 “blocchi” che inserì poi in una sostanza simile alla resina. Da questi blocchi ricavò in seguito più di 2.000 sezioni sottilissime, che inviò negli anni a diversi colleghi perché venissero analizzate a fondo, insieme alle immagini del cervello stesso.

Campioni e foto sono stati studiati più volte a partire dagli anni ’80 da diversi gruppi di ricerca, rivelando alcune caratteristiche peculiari: ora una alta densità di neuroni in alcune parti del cervello, ora una presenza anomala di cellule della glia (quelle che aiutano i neuroni a trasmettere i segnali nervosi). Lo stesso Falk aveva già analizzato alcuni di questi reperti, scoprendo, in un lavoro del 2009, che i lobi parietali del cervello di Einstein presentavano una struttura anomala dei giri e dei solchi, suggerendo che queste caratteristiche fossero associate alla grande capacità dello scienziato di concettualizzare i problemi fisici.

Nel nuovo studio, Falk e il suo team hanno avuto a disposizione 14 foto inedite, provenienti dalla collezione privata di Harvey, testimonianze preziose per completare il quadro. I ricercatori hanno quindi messo a confronto il cervello di Einstein con quello di altri 85 campioni presi dalla letteratura medica, confermando quanto in parte osservato nel 2009, ovvero che diverse sezioni presentano una quantità di giri e di solchi molto superiori alla norma. Queste particolarità strutturali fornivano probabilmente alle regioni interessate una superficie insolitamente larga, caratteristica che potrebbe aver contribuito alle straordinarie capacità intellettive dello scienziato.

In particolare sia la corteccia prefrontale – una regione associata con la pianificazione, con l’attenzione e con il perseverare di fronte alle sfide – sia alcune regioni dell’emisfero sinistro – coinvolte nel controllo motorio e nell’arrivo di input sensoriali alla zona della faccia e della lingua – risultavano infatti particolarmente allargate. Secondo Falk queste caratteristiche potrebbero spiegare una famosa affermazione di Einstein, che usava definire il suo modo di pensare “muscolare” piuttosto che strutturato con le parole. “Potrebbe darsi che utilizzasse la sua corteccia motoria in modi nuovi e straordinari, connessi con le capacità di concettualizzazione astratta”, ipotizza Falk a proposito, su Science.

Per Albert Galaburda, neuroscienziato della Harvard Medical School di Boston, lo studio solleva anche una serie di domande a cui gli scienziati non possono ancora dare risposta. “Einstein è nato con un cervello speciale che lo ha reso un grande fisico, o è stato piuttosto il suo fare fisica ad alti livelli che ha causato l’espansione di alcune parti del suo cervello?”, si chiede infatti Galaburda. Una vecchia domanda quindi: è la natura o la cultura a determinare le predisposizioni e le capacità umane?

Secondo Falk è un insieme delle due. I genitori di Einstein lo allevarono infatti incoraggiando il pensiero critico e lo sviluppo della creatività in diversi campi. “In qualche modo Einstein programmò da solo il suo cervello, e vivendo in un periodo in cui il campo della fisica era pieno di di intuizioni pronte per dare i loro frutti, lui si trovò ad avere il cervello giusto nel tempo e nel posto giusto”, conclude Falk.

Riferimenti: Brain doi: 10.1093/brain/aws295

Credits immagine: ThomasThomas/Flickr

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