Perché gli insetti non hanno mai colonizzato i mari?

insetti
Credit: Filip Kruchlik/Pixabay

Cielo e terra hanno un denominatore comune: gli insetti. Ubiquitari, capaci di occupare più o meno qualunque nicchia ecologica. Tanto numerosi da rappresentare il contributo principale alla biomassa animale del pianeta. Nonostante un così smaccato successo evolutivo, c’è però un luogo in cui pochissimi insetti si avventurano: il mare. Del milione e passa di specie note di insetti, infatti, appena poche centinaia sono di casa nelle acque marine in qualche momento del proprio ciclo vitale. E praticamente nessuna in età adulta. Un mistero di cui un team di ricercatori giapponesi e americani ritiene di aver trovato finalmente la soluzione: tutto dipenderebbe, scrivono in una review pubblicata su Physiological Entomology, dai meccanismi con cui gli insetti producono i loro esoscheletri, sviluppati per funzionare sulla terra ferma e quindi poco adatti a svolgere il loro compito in ambiente acquatico.

Insetti marini

In effetti, dal punto di vista della scienza l’assenza di insetti nei mari e negli oceani è un autentico mistero. Decine di migliaia di specie di insetti vivono nelle acque dolci, fiumi, laghi, paludi, che rappresentano appena lo 0,01% dell’acqua presente sul pianeta. Gli oceani di contro coprono il 71% della superficie terrestre, ed è naturale chiedersi cosa abbia tenuto questi animali alla larga da una fetta così ampia degli ecosistemi della Terra.

Le specie conosciute che abitano in ambiente marino sono concentrate quasi completamente nella cosiddetta zona interditale, i tratti di costa che vengono periodicamente coperti dalle maree. E nella maggioranza dei casi, vi trascorrono solamente le prime fasi della loro esistenza, allo stadio di uova, larve o pupe. Se parliamo invece di mare aperto, esiste attualmente un unico genere di insetti noto che vi abita: gli Holobates, o pattinatori marini, di cui sono state catalogate 42 specie, cinque delle quali abitano in alto mare. Anche in questo caso però si tratta di un ambiente marino sui generis, perché gli Holobates vivono “pattinando” sulla superficie delle acque, e depositano le loro uova su oggetti e detriti galleggianti. Per quanto ne sappiamo, insomma, sotto la superficie gli oceani sono completamente privi di insetti.


Perché dobbiamo proteggere gli insetti


Le ipotesi

Per spiegare questa clamorosa assenza, gli entomologi negli anni hanno elaborato diverse ipotesi. Quel che è certo è che gli insetti sono strettamente imparentati con i crostacei, da cui si sono separati centinaia di milioni di anni fa proprio emergendo dalle acque marine e adattandosi alla vita sulla terra ferma. Per questo motivo, l’evoluzione li ha resi probabilmente poco adatti per la vita subacquea, soprattutto in alto mare, dove gli ecosistemi terrestri sono troppo lontani per essere d’aiuto. Certamente, i cambiamenti nella loro fisiologia, nella morfologia, nelle loro abitudini riproduttive e nella respirazione hanno reso difficile per gli insetti invertire la rotta, e tornare a popolare le acque del mare. Dove troverebbero, oltretutto, la forte competizione dei lontani parenti crostacei, che occupano più o meno le stesse nicchie ecologiche, e sono già perfettamente adattati per la vita in ambiente marino.

La presenza di una moltitudine di pesci e di altri predatori, contro cui gli esoscheletri degli insetti si rivelerebbero probabilmente impotenti, è un’altra possibile spiegazione proposta per la mancanza di insetti nelle acque dei mari. Così come il fatto che molte specie di insetti sono datate di ali (derivate, non è un caso, da appendici che nei crostacei sono invece ancora zampe o chele), che risulterebbero completamente inutili sott’acqua o a largo delle coste, dove non ci sono affioramenti da raggiungere in volo. Se tutte le ragioni appena elencate possono aver contribuito allo scarso successo degli insetti in ambiente marino, il nuovo studio propone però una ragione ancora più essenziale: il meccanismo con cui praticamente tutte le specie di insetti formano il loro esoscheletro sembra infatti pensato per funzionare unicamente sulla terra ferma (o comunque a contatto con l’aria).

L’esoscheletro degli insetti è infatti composto fondamentalmente da cuticole di chitina, un polisaccaride, che negli strati più esterni viene indurito per trasformarsi in un’armatura estremamente resistente. Capita lo stesso anche nei crostacei, ma se questi animali marini utilizzano il calcio, facile da reperire nell’acqua marina, per indurire il loro esoscheletro, gli insetti hanno dovuto fare ricorso ad un elemento diverso: l’ossigeno, ben più abbondante se si vive immersi nell’atmosfera del nostro pianeta.

Il ruolo da protagonista

Il tutto avviene grazie a un enzima, chiamato multicopper oxidase-2 (MCO2), che catalizza una reazione di ossidazione attraverso cui viene prodotta il materiale che compone l’esoscheletro. Questo cambiamento ha prodotto un materiale esterno molto più leggero e flessibile di quello usato dai crostacei. Un elemento chiave – scrivono gli autori dello studio – nell’evoluzione degli insetti, che gli ha permesso probabilmente di diventare animali agili e leggeri, capaci di arrampicarsi praticamente su ogni superficie, camminare sull’acqua, e di sviluppare la capacità di volare. Tutte imprese impossibili indossando un esoscheletro calcareo, resistente ma pesante e ingombrante, come quello dei crostacei.

I geni che codificano per la produzione di MCO2 sono presenti in tutti gli insetti, e mancano nei crostacei e nelle altre famiglie di artropodi a loro imparentate. Anche nel caso di specie adattate per la vita terricola (come l’ordine dei collemboli, in passato confusi per insetti) o nelle poche specie di crostacei di terra, come gli isopodi. Per questo motivo, i ricercatori propongono di considerare la comparsa di questo enzima come uno dei punti di svolta fondamentali nell’evoluzione degli insetti. Che probabilmente ha conferito loro la potenzialità per prosperare praticamente in ogni ecosistema terrestre, al costo di abbandonare definitivamente, e senza possibilità di ritorno, l’antico ambiente marino da cui emersero circa 300 milioni di anni fa, dove le nicchie ecologiche disponibili per gli artropodi sono già occupate da crostacei, avvantaggiati nella loro competizione con gli insetti dalla disponibilità di calcio con cui formare i loro robusti carapaci.

via Wired.it

Credit immagine: Filip Kruchlik/Pixabay