Categorie: Ambiente

Persi nel deserto radioattivo

Uranio: salvezza o dannazione per il paese più povero del mondo? Sulle miniere di Arlit ed Akokan, in Niger, non esistono dati ufficiali. Una mancanza che, secondo Greenpeace, andrebbe colmata il prima possibile con uno studio indipendente sugli impatti dell’estrazione del prezioso metallo sull’ambiente e sulla salute umana. Nell’attesa è stata la stessa organizzazione, con il supporto del laboratorio indipendente Criirad e della rete ong Rotab, ad effettuare un monitoraggio su acqua, aria e terra, misurandone i livelli di radioattività.

I dati raccolti dicono che ad un bambino di Akokan basta passare un’ora al giorno a giocare all’aperto per assorbire una quantità di radiazioni superiore al limite stabilito a livello internazionale: nell’ambiente la radioattività è cinquecento volte superiore ai livelli considerati normali nella zona. Anche le case di Arlit sono costruite con materiale cinquanta volte più radioattivo il livello normale. Sempre nella regione di Arlit  l’acqua potabile risulta contaminata dall’uranio nell’ottanta per cento dei campioni esaminati e, in alcuni casi, anche dal radon e da sostanze chimiche inquinanti in concentrazioni superiori a quelle raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il radon infesta anche l’aria, con concentrazioni di 3-7 volte superiori ai livelli normali. Suscitano allarme poi le polveri sottili, che oltre ad essere più radiattive delle frazioni grossolane sono facilmente ingerite o inalate con la respirazione. 

Greenpeace punta l’indice su Areva, la multinazionale francese con cui negli anni ’70 è iniziata la storia del nucleare in Niger. Una storia che, almeno secondo le intenzioni dichiarate, avrebbe dovuto risollevare dalla miseria il paese che ha il più basso indice di sviluppo umano del pianeta. La promessa, però, non è stata mantenuta. Al contrario, la proliferazione del settore minerario ha prosciugato le risorse naturali del territorio. Negli ultimi quarant’anni 270 miliardi di litri di acqua sono stati contaminati e la pur scarsa vegetazione presente nelle lande desertiche attorno ad Arlit ed Akokan è andata via via scomparendo. Nel frattempo Areva ha esteso il proprio dominio, creando nuove strutture, tra cui i due ospedali della regione, e dando lavoro alla popolazione. Che però non è preparata a valutare i rischi del nucleare.     

“La gente non teme perché non sa che cos’è la radioattività”, sostiene Almoustapha Alhacen di Aghir in’ Man, un organizzazione non governativa che si occupa di proteggere l’ambiente e di formare la popolazione in materia di rischio ambientale. “La priorità è la povertà, ma non si dovrebbe perdere di vista il problema. La radioattività incrementa la povertà perché crea vittime ”. Non proprio dello stesso parere è il dottor Ayouba Dogon-Yaro del Somai Hospital, secondo cui “le principali patologie qui sono tosse, diarrea, dermatite. Suppergiù le stesse che in altre regioni del paese. Non hanno nessuna relazione con le radiazioni”. Eppure i tassi di mortalità legati ai problemi respiratori nelle regioni delle miniere sono il doppio rispetto al resto del paese e costituiscono, insieme a leucemia, cancro e malattie congenite, le conseguenze più temibili della radioattività sulla salute umana.  

Luisa de Paula

Giornalista pubblicista, filosofa e counsellor, ha vissuto e studiato tra Roma, Urbino, Milano, Londra, Parigi e New York. Attualmente collabora con Sapere e Galileo e lavora a un dottorato di ricerca sull'intenzionalità nel sogno.

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