I più grandi predatori dell’età moderna sono le attività dell’uomo e il cambiamento climatico a esse strettamente connesso. E a farne le spese, spesso, molto più dell’uomo è il mondo vegetale e animale. Molte specie animali stanno scomparendo, e le conseguenze per gli ecosistemi in cui vivono possono essere importanti. Reti a strascico e riscaldamento del mare causato dal cambiamento climatico nel Mediterraneo sono i principali carnefici della nacchera di mare, o Pinna nobilis, il più grande mollusco bivalve dei nostri mari, che negli ultimi anni ha subito un vero e proprio tracollo ed è ormai a serio rischio di estinzione. Per cercare di salvarla, lo scorso anno è stato finanziato un progetto europeo quadriennale.
La nacchera di mare ha una forma simile a una cozza, ma è molto più grande: può arrivare a un metro di lunghezza e vivere fino a 45 anni. Non è un mollusco molto conosciuto, e in passato veniva per lo più sfruttato per raccogliere il bisso, un filamento prodotto dagli individui adulti e utilizzato per produrre pregiate fibre tessili, come racconta Valeria Pulieri, Project manager della società Triton Research, che fa parte del progetto europeo.
“Il principale responsabile del suo decremento è un’infezione generata da un protozoo
parassita del genere Haplosporidium, forse associato ad altre specie di batteri, che provoca al mollusco gravi lesioni al tratto digestivo”. spiega. Una situazione che è precipatata negli ultimi anni, complice l’aumento delle temperature del mare che aiuta la proliferazione dei patogeni e i danni provocati dagli ancoraggi e dall’uso delle reti a strascico (il mollusco vive sui fondali). Col risultato che in popolazioni la mortalità arriva al 100%. Oggi, la situazione è al limite, tanto che l’Unione Internazionale della Conservazione della Natura ha riclassificato questa specie come Critically Endangered (in pericolo critico), il livello massimo di minaccia prima dell’estinzione.
Il progetto europeo quadriennale LIFE Pinna “Conservation and re-stocking of the Pinna nobilis in the western Mediterranean and Adriatic sea” (qui l’account Instagram e qui quello di Facebook) ha preso avvio ufficialmente lo scorso ottobre, e da un lato punta a proteggere e monitorare le popolazioni sopravvissute, dall’altro a recuperare la specie nei suoi habitat di riferimento. Nell’Alto Adriatico, infatti, alcune popolazioni di Pinna sono sopravvissute alla presenza dei patogeni, e uno degli obiettivi del progetto è studiarne la genetica per capire come mai. Gli esemplari resistenti, poi, verranno prelevati e cresciuti in cattività, con lo scopo di favorire il ripopolamento nei siti in cui la popolazione è scomparsa.
“Impegnarsi per la conservazione della nacchera è importante non solo perché la specie è esclusiva del Mediterraneo e così caratteristica, ma anche per il ruolo che questa gioca negli ecosistemi costieri”, va avanti Pulieri: “Si tratta infatti di una delle specie simbolo della prateria di posidonia, anch’essa in rarefazione: la presenza di Pinna riduce l’erosione dei fondali e migliora la qualità delle acque circostanti, grazie alla continua opera di filtrazione. Ogni nacchera è, inoltre, un piccolo ecosistema a sé stante, perché la grande conchiglia diventa una “impalcatura” che consente a molti altri organismi filtratori, come spugne, crostacei e vermi marini, di avere una posizione ideale per alimentarsi. C’è addirittura un gamberetto, Pontonia pinnophylax, che compie tutto il ciclo vitale all’interno di questa specie e per il quale la sopravvivenza della Pinna del Mediterraneo è una questione vitale”.
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