Più test, meno rischi

Basterebbe aumentare i test per le coppie che vogliono ricorrere alla fecondazione assistita per ridurre il rischio di malformazioni e anomalie genetiche dei bambini così concepiti. Un rischio che è superiore di 4-5 volte rispetto ai neonati generati in modo naturale e che in buona misura dipende da cause genetiche. Così come avrebbe rilevato uno studio coordinato dall’andrologo Carlo Foresta dell’Università di Padova e presentato nei giorni scorsi ad Abano Terme in un convegno sulla riproduzione assistita. La ricerca ha voluto approfondire le cause della maggiore incidenza di malformazioni e anomalie genetiche nei bambini concepiti con le tecniche di fecondazione assistita. In particolare, verificare se il fenomeno sia dovuto proprio alle tecniche utilizzate oppure a difetti genetici presenti nei genitori. Lo studio è stato condotto su 750 uomini infertili, tutti in buona salute, candidati a diventare padri con la fecondazione in vitro. I risultati ottenuti dall’andrologo di Padova hanno messo in luce che nel 21 per cento dei casi l’infertilità è di origine genetica. Le alterazioni riguarderebbero soprattutto il numero e la struttura dei cromosomi, molti dei geni presenti sul cromosoma Y e quelli che controllano i recettori degli ormoni maschili. “Queste anomalie”, spiega Foresta, “possono essere trasmesse alla prole dagli uomini che ricorrono alla fecondazione in vitro” e, cosa più preoccupante, nel corso delle generazioni “potrebbero sommarsi fino al caso limite di provocare danni gravi, come la nascita di bambini con un’alterazione nel numero dei cromosomi e colpiti da disturbi neurologi o sessuali”. La scoperta è stata accolta non senza scetticismo da chi si batte per una legge che rafforzi la fecondazione assistita e sostenga le 60 mila nuove coppie che ogni anno in Italia si trovano a fare i conti con il problema dell’infertilità. Secondo Andrea Borini, presidente del Cecos, la rete di centri privati di procreazione medicalmente assistita, lo studio presentato ad Abano Terme avrebbe il limite di essere stato condotto su aspiranti padri e non sui bambini nati attraverso la fecondazione assistita. “Non si può parlare di un aumento del 4-5 per cento di neonati con alterazioni genetiche sulla base di uno studio condotto su ipotetici ‘concepitori’ che forse non metteranno mai al mondo bambini”, rileva il ginecologo. “La probabilità di diventare genitore con la fecondazione in vitro non è matematica”, aggiunge Borini, “e ancor meno si può parlare di certezza scientifica per un dato emerso dallo screening di un numero limitato di maschi infertili”. Il rischio paventato da Foresta, dunque, rappresenterebbe un problema potenziale, una speculazione scientifica. Di tutt’altro parere l’andrologo, per il quale una certezza ci sarebbe, e cioè “che le malattie genetiche si trasmettono”. Il messaggio che deve passare, dice Foresta, “è che non può essere sufficiente avere a disposizione spermatozoi e ovociti per praticare la fecondazione assistita ma servono test genetici in grado di dirci quali donatori siano idonei e quali no”. Purtroppo, in Italia, ma anche altrove, ci sono poche strutture dove effettuare questo tipo di test genetici. E al momento, nel caso della fecondazione assistita la sanità pubblica concentra la sua attenzione sulle donne, per le quali prevede più analisi rispetto a quelle solitamente prescritte agli uomini. Eppure è universalmente riconosciuto il dato che attesta una par condicio tra i sessi per quanto riguarda le patologie riproduttive: nel 40 per cento delle coppie infertili, infatti, la causa è nell’uomo, in altro 40 per cento è nella donna e nel 20 per cento dei casi va attribuita a entrambi i partner.

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