La fotografia si può trovare su alcuni giornali di moda, o femminili. All’apparenza è un maglione come tanti: grigio, collo alto, zip. Ma a guardare meglio si tratta di un capo particolare: è di plastica. Più precisamente di Pet (acronimo per poletilentereftalato). L’idea di usare derivati di materiali plastici nell’abbigliamento non è nuova – esiste già da tempo in commercio il tessuto totalmente sintetico, il pile – ma l’originalità del progetto sta nel creare un capo, oltre che comodo da indossare, anche pregiato e appetibile per il mercato. A produrre un filato vero e proprio partendo dalle comuni bottiglie di plastica è stata l’Associazione Onlus Life Ventuno grazie al finanziamento del Consorzio per la raccolta, il riciclaggio e il recupero di rifiuti e imballaggi in plastica (Corepla). Il progetto, patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e dall’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti, vuole riqualificare il riciclaggio di materie plastiche attraverso l’applicazione di tecnologie avanzate. Moda e riciclaggio, dunque. I prototipi, 600 maglioni a collo alto con la zip e formati per il 30 per cento di derivati del Pet e per il 70 per cento di lana, hanno riscosso un discreto successo e ora è già pronta una produzione su larga scala. “Il filato è stato ottenuto attraverso un processo meccanico di cardatura con l’aggiunta di additivi chimici che, dalle comuni plastiche verdi, trasparenti e bianche, permette di ottenere una fibra vera e propria, pronta per essere lavorata per torsione assieme ad altri filati naturali – lana, cotone, cachemire”, spiega Giovanni Terzi, presidente di Life Ventuno. Il prodotto viene poi lavorato in maniera del tutto simile a quella della lana e il risultato è sufficientemente morbido al tatto e gradevole alla vista. Attualmente, il costo del filato si aggira intorno ai 15 euro per chilo, “un prezzo di mercato, che non ha nulla da invidiare ai capi fatti con tessuti tradizionali”, aggiunge Terzi; per realizzarlo Life Ventuno si è appoggiata a un’azienda specializzata nella lavorazione di tessuti misti. Dopo i primi campioni, gli ideatori sono riusciti anche a risolvere il problema del colore, visto che la plastica lo assorbe in maniera diversa da quella della lana. “A prodotto già ultimato, si procede con una tecnica di tintura detta ad armadi, tramite la quale le rocche di filato vengono colorate per immersione ad elevate temperature”, racconta Ivan Bisi, addetto alla produzione della Onlus. Per questo motivo, il colore non può essere omogeneo e il risultato finale del prototipo è un grigio melange. “Il nostro voleva essere solo un esperimento, ma abbiamo vinto la scommessa”, ha commentato Massimo Ferlini, presidente dell’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti: “abbiamo inaugurato una linea nuova di riciclo dei rifiuti, e non solo da un punto di vista etico”. I circa 500 chili di rifiuti che ogni anno una persona produce possono dunque diventare una risorsa. È per questo che il tessuto non è stato brevettato e il presidente di Life Ventuno assicura di non voler “farne un nuovo business. Il pullover prototipo rappresenta solo una delle possibili applicazioni dei polimeri riciclati”, commenta Terzi. “Un oggetto comune come questo può aiutare a sottolineare l’importanza di un gesto quotidiano motivando il cittadino nella raccolta differenziata”. Per conciliare riciclaggio e sostenibilità economica, Life Ventuno si prepara per questo inverno a un lancio nel mercato grazie alla collaborazione di una nota azienda di abbigliamento. Per il futuro, un auspicio: “Vorremmo scatenare una gara tra esperti di moda per la produzione di vestiti in PET sempre più belli”, conclude Terzi.