Polemiche da zoo

Da qualche giorno un coro di ragli, belati, muggiti e chicchirichì si alza dal cuore di Roma: sono gli animali della “Fattoria” appena costruita all’interno del Bioparco, la nuova denominazione che da un paio d’anni ha assunto lo zoo cittadino. Da quando, cioè, il Comune di Roma, proprietario della struttura e degli animali, diede vita a una società insieme alla Costa Edutainment e alla Cecchi Gori Holding, conservando per sé il 51 per cento delle azioni. Obiettivo: trasformare il vecchio serraglio, costruito nel 1911, in un luogo per la conservazione di specie a rischio di estinzione e per l’educazione dei cittadini ai valori dell’ecologia. La struttura inaugurata il 19 aprile scorso – che mostra ai cittadini di una metropoli sempre meno a contatto con la vita della campagna, gli animali tipici delle nostre fattorie – è un passo avanti in questa direzione. Ma i problemi sono lungi dall’essere risolti.

Perché se al Bioparco le voci dell’aia si mischiano a quelle della jungla e della savana, i vecchi ospiti dello zoo – tigri, leoni, elefanti, scimpanzé – sono ancora in gran parte chiusi nelle stesse gabbie buie e anguste, costruite quasi cent’anni fa. Per questo, mentre ci si compiace per la “Fattoria” appena inaugurata, ogni domenica fuori dai cancelli gli animalisti organizzano un sit in di protesta contro la nuova gestione, accusata di risparmiare sul vitto degli animali e sul personale. E di aver così provocato la morte di 200 animali in due anni.

L’accusa è pesante e la battaglia procede a colpi di carta bollata. Dopo l’ultima denuncia della People for the Ethical Treatment of Animals (Peta – http://www.peta-online.org), la magistratura ha aperto un’inchiesta. Ma dal Bioparco respingono fermamente le accuse, e contrattaccano. “Noi siamo tranquilli: quando sarà appurato che tutto è in regola, come è già avvenuto in passato, i responsabili della Peta dovranno rispondere dei danni causati. Perché è vero che sono morti 200 animali in due anni, ma questo è del tutto normale. In verità, ne muore il 40 per cento in meno che in passato”, afferma Gianbattista Costa, amministratore delegato della Costa Edutainment. Ma gli animalisti non mollano: “Non è vero che le morti sono diminuite rispetto al passato”, ribatte Walter Caporale rappresentante italiano della Peta, “anche perché nelle vecchie statistiche venivano annoverati gli animali feriti consegnati da cittadini o sequestrati dalle forze dell’ordine”. Insomma, la questione è controversa e si attende che la magistratura concluda le sue indagini sulle “morti sospette”.

Già pochi mesi dopo l’inaugurazione del Bioparco, erano fioccate le prime polemiche, tanto che il Comune di Roma fece pressioni affinché fosse nominata una commissione per verificare l’operato della nuova gestione. Il rapporto che ne risultò – sottoscritto da Giuli Cordara, dell’Animal and Nature Conservation Found (http://www.ancf.it), da Francesco Rocca della commissione Cites (http://www.cites.org/) sui giardini zoologici e dalla biologa Patrizia Tripedi, ma non dagli altri due commissari Giovanni Berlinguer e Massimo Buzzanca, attuale consulente del Bioparco – segnalò diverse carenze. “In verità”, precisa Myrta Giorgi Mafai, zoologa del Bioparco, “abbiamo ereditato una situazione tragica: c’erano tantissimi animali sia per numero che per varietà”. Rispetto al passato, oggi le riproduzioni sono più mirate e controllate. E la tendenza è di mantenere meno specie e un minor numero di esemplari, che però vivano in condizioni migliori. “Per il resto”, aggiunge la studiosa, “stiamo cercando di cedere gli animali che non siamo in grado di tenere per ragioni di spazio”. Gli animali che partono, assicura, sono destinati ad altri zoo, mai a privati o circhi.

Riccardo Marone, vicepresidente degli Animalisti Italiani (http://web.tiscalinet.it/animalisti-italiani/index.htm) sostiene invece che con la trasformazione in Bioparco si sarebbe passati dalla padella alla brace: “In tutto il mondo esistono solo società zoologiche no profit. Invece, la Bioparco Spa è sostanzialmente un’impresa commerciale”. Gli animalisti accusano il Comune di Roma di aver consegnato lo zoo in mano ai privati per un’impresa che di scientifico ha ben poco. Eppure, ricordano, l’unica giustificazione per l’esistenza di uno zoo è la conservazione di specie a rischio di estinzione. Queste, almeno sono le linee guida della World Zoo Organization. Non è una legge, ma tutti gli zoo scientifici si attengono a questi principi.

Al Bioparco, però, ritengono di avere le carte in regola: “Partecipiamo a vari programmi internazionali che coinvolgono le specie più a rischio – per esempio alcuni ungulati, come l’ippopotamo pigmeo – che cerchiamo di far riprodurre. Siamo inseriti nell’European Association of Zoos and Aquaria (http://www.eaza.net/) che consente scambi con altri zoo, sia per riunire diversi esemplari della stessa specie a fini riproduttivi, sia per evitare gli incroci fra consanguinei”, afferma Giorgi Mafai. Il Bioparco ospita anche una decina di licaoni, mentre altri nove sono stati ceduti. Certo, questi animali nati in cattività non potranno mai essere liberati in natura: non saprebbero come sopravvivere. Ma per ora l’obiettivo è di creare uno stock genetico al quale, eventualmente, attingere in futuro per i reinserimenti.

Anche le accuse di procedere a rilento con la ristrutturazione vengono respinte dalla Bioparco Spa, che sciorina l’elenco delle opere realizzate: la vasca dei fenicotteri, un giardino fiorito per attrarre le farfalle, mangiatoie per gli uccelli che vivono liberi nello zoo, la ristrutturazione della grande voliera, servizi pubblici e, ultima, la “Fattoria”. Tutte opere “accessorie”, notano però gli animalisti, che non hanno cambiato di una virgola le condizioni di vita degli “ospiti coatti” dello zoo. Ma per la Bioparco è solo questione di tempo: “Stiamo ricostruendo il recinto degli orsi, che sarà pronto a luglio e avrà dimensioni dieci volte maggiori di quello attuale”, afferma ancora Giorgi Mafai. “La prossima urgenza sono le grandi scimmie, gorilla oranghi e scimpanzé, che ora stanno abbastanza male, chiusi nelle classiche gabbie, strette e con le sbarre. A settembre partiranno i lavori per la costruzione di un recinto più grande che sarà pronto in primavera”.

Ma per Carlo Consiglio, zoologo ed ex docente all’Università di Roma, rinnovare lo zoo è solo uno spreco di denaro: “Ormai da molti anni l’ecologia ci ha insegnato che gli animali sono parte integrante dell’ambiente in cui vivono. E nessuno zoo può riprodurlo. Si tratta sempre di ricostruzioni scenografiche, senza molto senso sia dal punto di vista didattico che da quello scientifico. Anche l’etologia ci ha rivelato la complessità dei comportamenti animali, i quali per interagire con l’ambiente hanno bisogno di determinate condizioni. Pensiamo alla migrazione, o anche semplicemente al controllo di un territorio. Quello di un gruppo di leoni, per esempio, ha la grandezza di una decina di chilometri quadrati circa. E’ evidente che nessuno zoo dispone di uno spazio simile”.

La mancanza di aree adeguate è il problema di tutti gli zoo. “Per quanto spazio si possa dare agli animali”, ammette Giorgi Mafai, “si tratta sempre di cattività. Qualche metro in più o in meno, sbarre o fossati, per gli animali non cambia granché”. Il massimo che si può fare è evitare il via vai della gente, il contatto diretto con l’uomo. “Ed è proprio quello che stiamo per fare con il recinto degli orsi”, annuncia la zoologa, “che sarà di circa tre ettari. Ci sarà molto verde e un ruscello. Il tutto protetto con delle vetrate. In questo spazio, gli animali potranno scegliere se avvicinarsi agli uomini o meno. Stesso sistema per il recinto delle grandi scimmie”.

Ma il dubbio è che, per quanti sforzi si possano fare, non si potrà mai trasformare il vecchio zoo in una struttura moderna. Il Bioparco ha infatti limiti strutturali insormontabili: dispone di soli 17 ettari, e per di più all’interno di Villa Borghese, un parco storico al centro di Roma. “In queste condizioni”, suggerisce la Cordara, “la cosa migliore sarebbe stata collocare la maggior parte degli animali in altre strutture più adeguate, assegnandogli anche una sorta di vitalizio, e tenendo solo specie autoctone di piccole dimensioni, come lo scoiattolo, le tartarughe, il visone europeo, e gli animali sequestrati a privati e trafficanti”.

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