Le microplastiche sono ovunque: nell’aria, nei mari, nel suolo, nell’acqua che beviamo, negli alimenti. Dobbiamo pensarle come una rete, un sistema su scala globale, che pervade tutti gli ecosistemi. E un po’ come avviene per gli oceani o per il meteo, in continuo monitoraggio, dovremmo tenere sotto controllo anche questo sistema, la cui produzione continua a crescere al passo del 4% all’anno. Questa è l’idea di un gruppo di ricerca internazionale, condotta dalla Utah State University. Gli scienziati richiama l’attenzione sulla necessità urgente di comprendere meglio tutte le sorgenti della plastica e le conseguenze della sua produzione con la diffusione delle microplastiche nell’ambiente. I risultati sono pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
Microplastiche in corpo: ne ingeriamo due etti e mezzo ogni anno, nell’acqua e nei cibi
La plastica che abbiamo buttato via negli anni ’80 non è sparita. Di quei materiali ancora permangono nell’ambiente pezzetti troppo piccoli per essere visibili a occhio nudo, le microplastiche. Queste non arrivano soltanto, come potremmo immaginare, dall’immondizia che buttiamo e dai rifiuti nelle discariche. Molti altri oggetti e processi, solo apparentemente insospettabili, concorrono all’immissione delle microplastiche nell’ambiente. Fra questi processi, il lavaggio in lavatrice, le gomme dei pneumatici su strada, alcuni cosmetici, le acque reflue e attività che riguardano l’agricoltura.
Gli autori sottolineano che le ricerche sulle sorgenti e sui luoghi dove si annidano le microplastiche sono molto limitati, con la conseguenza che non conosciamo bene come e dove vengono trasportate e accumulate. Saperlo è invece importante anche perché le microplastiche fanno viaggi anche molto lunghi. Una volta in atmosfera la microplastica può rimanere sospesa airborne – termine che abbiamo sentito spesso durante la pandemia riferito al coronavirus – da un’ora fino a circa sei giorni e mezzo. E sei giorni è un tempo lunghissimo, nel quale può attraversare un continente, come spiega Natalie Mahowald della Cornell University, coautrice dello studio insieme a Janice Brahney. Anche per questo è importante creare un sistema di monitoraggio, una mappa dell’inquinamento che ci indichi dove è maggiore anche per prender provvedimenti.
I ricercatori hanno combinato rilievi dal vivo di come e quanto si deposita la microplastica con modelli di trasporto e delle principali sorgenti. Attraverso i dati rilevati e le simulazioni sono riusciti a creare una mappa della distribuzione delle microplastiche, individuando paesi e zone geografiche in cui si concentra maggiormente. In generale la microplastica si sposta seguendo un ciclo anche spaziale: dagli oceani si deposita sulla superficie terrestre e nel suolo, dalla superficie terrestre di nuovo può confluire negli oceani attraverso l’aria. I risultati, infatti, suggeriscono che le microplastiche che entrano nei mari o sulla superficie terrestre possono tornare nell’atmosfera, in un ciclo.
Lo studio indica che i principali luoghi dove le microplastiche si accumulano e si depositano sono l’atmosfera sopra gli oceani e la superficie degli oceani. Inoltre fra gli oceani e i mari i più colpiti sono il Pacifico e il mar Mediterraneo.
Molti continenti importano più plastica di quanta venga esportata. I continenti e i paesi dove la concentrazione è maggiore sono Stati Uniti, Europa, Asia orientale, Medio Oriente e India. A riprova del fatto che la plastica possono viaggiare, e molto, anche l’Antartide, dove la produzione di questo materiale è pari a 0, è raggiunta attraverso l’atmosfera dai minuscoli frammenti.
Riferimenti: Proceedings of the National Academy of Sciences
Credits immagine: CHUTTERSNAP on Unsplash
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