Procreazione assistita, un percorso lungo e costoso

(Censis) – Sempre più mature, istruite e occupate stabilmente le coppie che ricorrono alla procreazione assistita. Aumenta l’età media delle coppie che ricorrono alla procreazione medicalmente assistita, sia dell’uomo (dai 37,7 anni del 2008 ai 39,8 anni del 2016) che della donna (da 35,3 a 36,7 anni), hanno un livello di istruzione più elevato e una condizione professionale più stabile. Sono alcuni dei risultati della ricerca «Diventare genitori oggi: il punto di vista delle coppie in Pma», realizzata dal Censis in collaborazione con la Fondazione Ibsa, presentata oggi a Roma da Ketty Vaccaro, Responsabile area Salute e Welfare del Censis, e Giuseppe Zizzo, Segretario della Fondazione Ibsa, e discussa da Filomena Gallo, Andrea Lenzi, Donella Mattesini, Giulia Scaravelli, Filippo Maria Ubaldi e Laura Volpini.

Sono coppie che cercano di avere un figlio mediamente da 3,9 anni e i primi dubbi in relazione alla difficoltà di ottenere una gravidanza sono intervenuti dopo 15,5 mesi di tentativi (un tempo più lungo rispetto ai 12,2 mesi del 2008). Si allunga anche il tempo che intercorre tra i primi dubbi e la scelta di rivolgersi al medico (10,9 mesi contro i 9,2 mesi del 2008). Guardando all’intero percorso, dal primo contatto con il medico al ricorso al primo centro di Pma trascorre poco più di un anno (12,7 mesi), un percorso ancora più lungo per le coppie meno istruite (19,2 mesi). Il ginecologo è il professionista a cui si rivolge la maggioranza delle coppie (72%) e rispetto al 2008 è raddoppiata la quota di chi si è rivolto direttamente allo specialista del centro di Pma (14%). Solo al 55% delle coppie è stata riconosciuta una condizione clinica come causa specifica dell’infertilità (circa 9 punti percentuali in meno rispetto alla precedente indagine), che è stata individuata nel 40% dei casi dallo specialista del centro e nel 36% dei casi dal ginecologo. È quanto emerge dalla ricerca «Diventare genitori oggi: il punto di vista delle coppie in Pma» realizzata dal Censis in collaborazione con la Fondazione Ibsa a otto anni di distanza dalla prima ricerca sul tema.

Un percorso differenziato per accedere ai trattamenti. I tempi di attesa per accedere ai trattamenti variano in base alla tipologia del centro scelto. Il 33% delle coppie ha atteso in media meno di 3 mesi prima di iniziare la terapia (si sale al 49% nel caso delle coppie che si sono rivolte a centri privati), il 26% ha atteso tra i 3 e i 6 mesi (si sale al 41% nel caso di pazienti in cura presso strutture private convenzionate), il 24% ha iniziato i trattamenti dopo 6-11 mesi (si sale al 32% tra le coppie in cura presso centri pubblici), il 17% ha atteso un anno e oltre prima di accedere ai trattamenti (la percentuale aumenta al 29% tra chi si è rivolto al pubblico).

La variabile geografica: al Centro costa di più. Con riferimento all’ultimo ciclo di trattamenti effettuato, per il 14% delle coppie i costi della Pma sono stati sostenuti interamente dal Servizio sanitario regionale, il 49% ha pagato il ticket, il 35% invece ha pagato interamente le prestazioni di tasca propria, soprattutto nelle regioni dove è più forte la presenza di strutture private, cioè al Centro (dove la percentuale di chi ha pagato di tasca propria sale al 67%) e al Sud (dove si arriva al 51%). Per chi ha sostenuto la spesa di tasca propria, il costo dell’ultimo ciclo di Pma si è aggirato mediamente intorno ai 4.000 euro (4.200 euro al Nord, 5.200 al Centro, 2.900 al Sud). Per chi ha pagato il ticket presso centri pubblici e privati convenzionati, il costo è in media di 340 euro (280 euro al Nord, 700 al Centro, 370 al Sud).

I disagi delle coppie in terapia. Per l’82% delle coppie la frustrazione derivante dai tentativi di concepimento falliti ha un impatto negativo sul vissuto quotidiano. Per il 61% la difficile conciliazione tra le esigenze della terapia e del lavoro costituisce una fonte di disagio. Per il 52% il problema dell’infertilità è diventato un pensiero costante, al punto che risulta difficile pensare ad altro. Il 46% teme gli effetti collaterali delle terapie. Il 42% fa riferimento, come fonte di disagio, alla medicalizzazione di aspetti della vita intimi e personali, come la procreazione e la sessualità. Al 41% il disagio deriva dalla sensazione di essere diversi dalle altre coppie. Il 30% denuncia una scarsa comprensione e condivisione del problema da parte dei familiari più intimi e degli amici (un problema che riguarda principalmente le coppie più giovani: 42%).

Sì alle modifiche alla legge 40/2004. Quasi la totalità delle coppie si ritiene favorevole ai cambiamenti già apportati alla legge 40/2004. Il 90% ritiene giusta la possibilità di selezionare l’embrione per eliminare situazioni di grave malattia e l’81% pensa che la fecondazione eterologa dovrebbe essere realmente disponibile per tutti. Meno nette, ma rilevanti, le posizioni su altri aspetti oggi non previsti dalla legge. Il 46% delle coppie ritiene che dovrebbero essere eliminate le restrizioni al ricorso all’«utero in affitto», per il 45% la Pma dovrebbe essere consentita anche ai single e per il 42% anche alle coppie omosessuali.

«È una ricerca in cui la Fondazione Ibsa ha creduto sin da subito, utile ad offrire un piccolo ma significativo contributo a un dibattito che è stato ed è ancora caldo, ampio e articolato, coprendo tematiche etiche, politiche, personali e sociali», ha detto Giuseppe Zizzo, Segretario della Fondazione Ibsa. «Portare informazione e nuove chiavi di lettura vuol dire contribuire a trovare soluzioni ai problemi che affliggono ancora troppe coppie. Questa nuova ricerca non esaurisce l’impegno della Fondazione Ibsa in questo ambito, continueremo a sostenere nuovi progetti per migliorare gli aspetti medico-sociali della vita dei futuri genitori», ha concluso Zizzo. «Le coppie attualmente impegnate in un percorso di Pma cominciano sempre più tardi a cercare una gravidanza, come dimostra l’incremento dell’età media dei partner, il che impatta sulle possibilità di successo delle tecniche: la percentuale di gravidanze sulle coppie trattate, considerando tutte le tecniche, è attestata intorno al 22%», ha detto Ketty Vaccaro, responsabile dell’area Welfare e Salute del Censis. «Sono coppie privilegiate sotto il profilo sociale ed economico, il che fa supporre che l’accesso al percorso sia difficile, se non precluso, a chi ha meno risorse e livelli di istruzione più bassi. Per queste coppie il percorso di Pma appare più lungo e complesso ed è comunque fortemente differenziato a livello territoriale, anche a causa di una offerta caratterizzata dalla prevalenza di strutture private», ha concluso Vaccaro.

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