Di malaria muore ancora più di un milione di persone ogni anno. Quasi tutte in Africa. Proprio in Burkina Faso David Modiano, ricercatore presso il dipartimento di Scienze e di Sanità Pubblica dell’Università La Sapienza, e la sua équipe studiano la genetica della suscettibilità a questa malattia. Vanno cioè alla caccia di quelle mutazioni del Dna che rendono alcuni individui immuni dalla malaria. Un lavoro sul campo realizzato grazie alla collaborazione del Centre National de Recherche et Formation sur le Paludisme del Ministero della sanità locale, del Centre Medical Saint-Camille e dell’Ospedale Yalgado Ouedraogo. Che prima li ha impegnati in un confronto fra i patrimoni genetici delle diverse etnie che compongono la popolazione locale, sfociato nella pubblicazione di uno studio nel 1996 sui Proceedings of National Academy of Sciences, e ora in una valutazione all’interno di un solo gruppo etnico – i Mossi – per individuare gli individui con maggiore resistenza. Risultato: la dimostrazione che l’emoglobina C (HbC), una mutazione della proteina responsabile del trasporto dell’ossigeno nel sangue, protegge dal contagio, soprattutto se il genotipo è omozigote (HbCC), quando cioè entrambi i genitori hanno trasmesso quel carattere alla discendenza. Un risultato mai raggiunto finora e che per questo ha conquistato le pagine di Nature.
Dottor Modiano, che cosa rende il vostro studio diverso da quelli precedenti?
“I risultati ottenuti confermano uno studio eseguito in Mali nel 2000. E vanno però molto oltre. In quel caso, infatti, i ricercatori avevano dimostrato che il genotipo HbAC dell’emoglobina (lo stato eterozigote in cui la A indica la versione non mutata della proteina) protegge dalla malaria grave causata da Plasmodium falciparum. Noi invece abbiamo rivelato in maniera solida che la protezione avviene soprattutto allo stato omozigote. Il nostro studio ha coinvolto 4348 individui dell’etnia Mossi di cui 3513 sani, 359 ammalati gravemente e 476 non gravi. E ha messo in evidenza che l’eterozigosi HbAC riduce il rischio di contrarre la malaria del 29 per cento, mentre l’omozigosi HbCC proteggere addirittura al 93 per cento”.
Quali sono le differenze fra questo meccanismo di difesa e quelli già evidenziati, come l’anemia falciforme?
“L’anemia falciforme è causata da HbS, un’altra mutazione dell’emoglobina, e protegge dal contagio solo nello stato eterozigote (HbAS), mentre in quello omozigote è letale. Una differenza sostanziale poiché seppur la mutazione omozigote ha una frequenza genica (il numero di volte che il gene compare nelle sue diverse forme all’interno di una popolazione) più bassa, il soggetto HbCC non ha problemi di salute ed è protetto dalla malaria, condizioni che gli consentono di essere selezionato e quindi di trasmettere i propri caratteri genetici alla prole. In altre parole la frequenza genica è destinata a salire molto rapidamente. In Burkina Faso abbiamo l’1,6 per cento di omozigoti HbCC nella popolazione e quindi completamente protetti”.
Come mai nessuno prima d’ora aveva analizzato l’omozigote HbCC?
“Finora l’attenzione dei ricercatori si è rivolta principalmente all’effetto delle mutazioni sulla presenza del parassita, sulla capacità cioè del patrimonio genetico di impedire al Plasmodium falciparum di riprodursi nell’organismo umano. In questo senso l’eterozigote HbAC non ha un ruolo di protezione, quindi nessuno aveva pensato di andare a controllare l’omozigote. Noi invece ci siamo concentrati sulla clinica della malaria, studiando cioè soggetti che avevano già contratto la malattia”.
Quali saranno gli sviluppi della vostra ricerca?
“La mia équipe si occupa di individuare i tratti genetici tipici di una malattia. In altre parole noi poniamo all’attenzione del mondo scientifico l’esistenza di un meccanismo di difesa, ma non diciamo nulla sui meccanismi che lo rendono possibile. Non sappiamo quindi quale sia la causa della protezione alla malaria che si verifica negli omozigoti HbCC, e se tale mutazione scateni anche una reazione del sistema immunitario. Se questo fosse dimostrato, allora si potrebbe pensare a un vaccino. Ma questo lo devono fare altri scienziati. I nostri studi epidemiologici si concentreranno ora sugli omozigoti HbCC per dimostrare che il loro patrimonio genetico impedisce anche ai parassiti di riprodursi. In vitro ci sono delle evidenze che ciò sia vero, ma nessuno lo ha mai dimostrato in vivo”.