Quando lo scienziato fugge

Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani (a cura di)
Cervelli in fuga. Storie di menti italiane fuggite all’estero
Avverbi, 2001
pp. 189, £ 18.000

E’ ormai noto che in Italia le risorse dedicate alla ricerca scientifica sono a livelli indegni per un paese ricco di risorse come il nostro (1% circa del Pil contro il 3% del Giappone e il 2,7 degli Usa, dati Ocse 1998). Ben vengano allora libri come questo, che denunciano una situazione al limite del grottesco, in cui l’incapacità ad assumersi le proprie responsabilità è endemica a tutti i livelli, tanto accademici quanto politici e culturali. Cervelli in fuga è una raccolta di storie professionali di ricercatori italiani che si sono potute realizzare soltanto all’estero. Quasi tutti gli interventi del libro, anche se nella diversità delle esperienze, sottolineano che la scelta è ormai irreversibile. Mai tornerebbero indietro. All’estero, questi giovani scienziati hanno modo di lavorare secondo le proprie capacità, con retribuzioni e possibilità decisamente superiori a quelle che avevano nel nostro paese.

Ma dire che il libro è soltanto questo sarebbe riduttivo. La seconda parte, ‘Università in pillole’ è tutta dedicata all’analisi dell’idea di “Università degli studi” come luogo pubblico di ricerca, in cui la professionalità scientifica, quando c’è, possa essere indirizzata e valorizzata, sia intellettualmente che economicamente. Nell’appendice infine vengono forniti alcuni strumenti utili come i riferimenti legislativi per l’università, le domande più frequenti sul dottorato di ricerca e un glossario dei termini utilizzati.

Il messaggio lanciato dal libro è questo: “Il nostro sistema deve sapersi confrontare con gli altri” (pag. 114). La globalizzazione, estesa ormai a tutti i livelli delle nostre società, tanto nella ricerca scientifica quanto nell’alimentazione o negli sport, è sicuramente una ricchezza, una possibilità in più per lo sviluppo. La scienza poi è da sempre l’ambiente più internazionale di tutti, per esistere deve essere cosmopolita. Quello che preoccupa oggi è che a beneficiare degli effetti positivi siano sempre e solo i “soliti noti”, un trasferimento di risorse intellettuali a senso unico. Da rete di scambio culturale a unilaterale trasferimento di conoscenze e saperi.

Un ultimo elemento di riflessione, che sottopongo anche ai curatori del libro: quasi tutti i brillanti ricercatori “fuggitivi” che hanno partecipato a questa iniziativa provengono dal nord Italia. Scelta editoriale o ulteriore segnale di allarme per il desolato panorama della ricerca italiana contemporanea?

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