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Quei silenzi tra medici e pazienti sieropositivi

Un colloquio più approfondito con il medico curante, che presti maggiore attenzione alle esigenze personali del paziente, alla sua storia clinica, agli effetti sgradevoli dei farmaci. Lo chiedono le persone colpite dal virus dell’Hiv, ma è una condizione che accomuna tutti i malati. L’allarme è arrivato il 20 luglio scorso dalla Conferenza dell’International Aids Society 2010 di Vienna (Austria) dove i rappresentanti della Iapac (International Association of Physicians in AIDS Care) hanno i risultati di Atlis 2010 (Aids Treatment for Life International Survey), uno studio condotto su oltre duemila persone affette da Aids.

La ricerca ha mostrato notevoli lacune nel dialogo tra i pazienti e il medico che potrebbero determinare conseguenze negative sul loro stato di salute, sulla qualità di vita e sul successo delle cure. Per esempio, hanno spiegato i membri dell’associazione, è importante che il medico, nella scelta della cura più appropriata, consideri numerosi fattori, come la storia familiare, il fumo, il diabete, la depressione, le malattie cardiache, il colesterolo elevato, l’ipertensione. Eppure, nonostante il 64 per cento dei malati di Hiv contattati sia affetto da almeno un altro problema di salute, come insonnia, disturbi gastrointestinali o infezione da epatite C, solo il 51 per cento dichiara di averne parlato con il medico.

Gli studiosi hanno indagato anche sul tipo di informazione ricevuta dai pazienti a proposito dei comuni effetti collaterali dei farmaci. Il 40 per cento dei soggetti lamenta uno stato di malessere associato all’assunzione dei medicinali, legato a insonnia, stanchezza, ansia e depressione, e il 50 per cento riferisce disagi ancora più invalidanti; eppure ben il 25 per cento sostiene di non essere mai stato avvertito dal medico dell’eventuale comparsa di questi disturbi. Dati in apparenza più incoraggianti arrivano dalla percezione dei pazienti riguardo all’importanza di rispettare le cure prescritte. Solo in apparenza, però, perché se l’87 per cento sostiene di aver ricevuto abbondanti spiegazioni sulla priorità di assumere correttamente i farmaci, il 43 per cento ammette tuttavia di avere dimenticato di prenderli almeno una volta nell’ultimo mese.

“Alla luce di questi dati, riteniamo che siano necessari interventi educativi, comportamentali e clinici che permettano ai malati di avere una maggiore consapevolezza delle proprie condizioni di salute e delle terapie indicate” ha dichiarato Jean Nachega della Stellenbosch University (Cape Town, South Africa) e membro di Atlis 2010.

Riferimenti: Iapac http://www.iapac.org/

Katia Clemente

Laureata in Scienze Biologiche e dottore di ricerca in Biotecnologie, ha conseguito il master in “Le scienze della vita nel giornalismo e nei rapporti politico-istituzionali” all’Università Sapienza di Roma. Lavora nel reparto dei Trapianti d’Organo dell’Ospedale de L’Aquila, dove si occupa di progetti di ricerca clinica sul trapianto di rene, e scrive per il sito web della Fondazione Zoé.

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