Un bunker sotterraneo nel granito per custodire i rifiuti nucleari per migliaia di anni

rifiuti nucleari
(Credits: Thomas Millot on Unsplash)

L’energia atomica ha pregi e difetti. Tra i problemi peggiori (almeno in attesa della fusione nucleare) ci sono sicuramente le scorie nucleari. Produrre energia con la fissione comporta l’accumulo di tonnellate di combustibile esausto, che in buona parte diventerà un rifiuto radioattivo da smaltire. Una sfida più che mai impegnativa visto che si tratta di materiali pericolosi, inquinanti, e di lunghissima durata: per tornare inerti i rifiuti ad alta attività (i più pericolosi e difficili da gestire) impiegano decine di migliaia di anni.

Lo stoccaggio in depositi di superficie può quindi essere solamente una soluzione temporanea, ma finora è stata l’unica disponibile. E se dalle nostre parti si attende ancora il primo deposito nazionale di superficie, altrove sta per debuttare la prima soluzione definitiva mai tentata: il deposito geologico di Onkalo, un sito di stoccaggio sotterraneo progettato per custodire per sempre le scorie nucleari ad alta attività prodotte dalle centrali finlandesi. Un progetto che deve affrontare sfide tecnologiche, e logistiche, incredibili. E di importanza cruciale (a prescindere da cosa si pensi dell’energia nucleare), per aprire la strada anche altrove allo smaltimento di centinaia delle centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti radioattivi prodotti fino a oggi in tutto il mondo, e per i quali al momento non esiste nessun’altra soluzione concreta.

Scorie ad alta attività

Non tutti i rifiuti radioattivi, ovviamente, nascono uguali. La classificazione internazionale ne distingue tre tipi, a bassa, media o alta intensità, in base a una serie di parametri che fondamentalmente ne identificano la crescente pericolosità, e complessità di smaltimento. I rifiuti a bassa intensità comprendono materiale medico (siringhe, garze, guanti e tutto quello che viene utilizzato nella preparazione e somministrazione dei radiofarmaci), scarti industriali e prodotti derivanti dal ciclo di processamento del combustibile delle centrali nucleari (che spesso oggi può essere riciclato e riutilizzato con una buona efficienza). 

Questo tipo di rifiuti rappresenta il 90% di tutti gli scarti radioattivi prodotti dall’uomo, non è particolarmente pericoloso e necessita di strutture di smaltimento non troppo complesse. I rifiuti a media intensità derivano invece da resine, fanghi chimici, rivestimenti metallici del combustibile nucleare e materiali derivanti del decommissioning degli impianti nucleari, sono pericolosi e spesso richiedono secoli per decadere oltre la soglia di sicurezza, ma possono essere gestiti in depositi di superficie con le dovute accortezze.

Quel che rimane, circa il 3% di tutti i rifiuti radioattivi prodotti nel mondo, è rappresentato da rifiuti ad alta intensità, principalmente combustibile esausto delle centrali nucleari, e liquidi utilizzati nel riprocessamento del combustibile e nella produzione di armi atomiche. Si tratta di materiali sufficientemente radioattivi da produrre un intenso calore, richiedono un periodo di raffreddamento all’interno di strutture speciali (solitamente vengono immersi nell’acqua in attesa che le temperature diventino gestibili) e sono destinati a rimanere pericolosi per la salute per migliaia, se non decine e centinaia di migliaia, di anni. 

Attualmente vengono tenuti in speciali depositi di superficie, e il fatto che rappresentino solo una frazione di tutti i rifiuti radioattivi prodotti non rende il loro smaltimento finale una priorità particolarmente urgente. Ma si tratta, a tutti gli effetti, di un problema che per ora è stato lasciato in eredità alle future generazioni di esseri umani: attualmente infatti non è ancora operativo nessun sito di deposito definitivo per questo genere di scorie radioattive.

I problemi da risolvere

Le difficoltà di gestione dei rifiuti che rimangono pericolosi per migliaia di anni è evidente: nulla sfugge alle insidie del tempo. Negli Stati Uniti, ad esempio, presso l’Hanford nuclear reservation (un deposito di materiali radioattivi fondato ai tempi del progetto Manhattan) sono bastati 70 anni perché alcuni bidoni pieni di liquidi radioattivi derivanti dalla produzione delle bombe atomiche americane iniziassero a perdere, riversando a terra liquami che potrebbero aver raggiunto le acque del vicino fiume Columbia, con il rischio concreto di produrre danni per la salute umana in tutti gli insediamenti posizionati nei pressi del corso d’acqua.

Dai tempi della Seconda guerra mondiale, ovviamente, le tecnologie e l’attenzione per la sicurezza si sono evolute notevolmente. Ma quando ci si inizia a proiettare millenni nel futuro le cose si fanno comunque molto complesse: i materiali si corrodono, il clima del pianeta cambia, terremoti, inondazioni e altri eventi estremi (per quanto rari) iniziano a diventare un problema concreto. È per questo che per smaltire definitivamente un materiale radioattivo a lunghissimo decadimento servono condizioni estremamente particolari. La soluzione scelta in Finlandia è la più gettonata tra gli esperti: un deposito geologico profondo, cioè un bunker sotterraneo pensato per garantire l’isolamento totale del suo contenuto per decine, se non centinaia, di migliaia di anni.

Onkalo: il primo deposito permanente

Per la Finlandia, d’altronde, la gestione dei rifiuti radioattivi è di primaria importanza. La nazione produce il 40% dell’energia che utilizza con reattori nucleari (presto entrerà in servizio un terzo reattore nella centrale di Olkiluoto), ed è uno dei principali sostenitori dell’inclusione dell’energia atomica tra le fonti sostenibili indicate dalla tassonomia europea (il documento di indirizzo che indicherà gli investimenti promossi nel programma di transizione ecologica). In qualche modo, la nazione è obbligata a dare il buon esempio, e per questo probabilmente è il paese più avanti nella costruzione di un deposito geologico profondo. Seguita a stretto giro dalla Svezia, che proprio nelle scorse settimane ha dato il via libera ai lavori per costruire il proprio, e da nazioni come la Svizzera, la Francia, il Regno Unito, con progetti in fase avanzata di sviluppo.


Gérard Mourou: il mio laser da Nobel contro le scorie radioattive


Le prospezioni per la scelta del sito finlandese sono iniziate negli anni ‘90, e hanno portato a identificare una zona nella municipalità di Olkiluoto, a circa cinque chilometri da una delle due centrali nucleari del paese. Il deposito è stato scavato nella roccia granitica che caratterizza la regione, in un punto situato tra due faglie distanti circa 800 metri, come garanzia in caso di terremoti: se dovessero avvenire, l’energia sismica si sfogherebbe lungo le linee di faglia, lasciando indisturbata (secondo i calcoli dei progettisti) l’area centrale dove sorge il deposito. Attività sismica nell’area, comunque, non è prevista se non al termine della prossima era glaciale, abbastanza in là da non rappresentare un problema per il deposito, che deve garantire la sicurezza dei rifiuti per un periodo di 100mila anni.

Costruire il deposito all’interno di solido granito mette al sicuro il sito dal rischio di perdite, perché si tratta di un materiale non poroso, che impedirà all’acqua di infiltrarsi nei tunnel, e ad eventuali liquidi fuoriusciti dai contenitori delle scorie di raggiungere bacini idrici da cui il materiale radioattivo può farsi strada verso la superficie. A proteggere i rifiuti veri e propri, comunque, c’è ben più della roccia. Le barre di combustibile esausto sono infatti isolate all’interno di un contenitore di ferro, inserito a sua volta in una struttura stagna di rame, con dell’argon a riempire lo spazio tra i due, per fornire un’atmosfera inerte. I contenitori vengono quindi inseriti in dei fori nella roccia, e isolati utilizzando la bentonite, un materiale argilloso che fornirà una barriera aggiuntiva sia nei confronti dell’acqua, sia verso possibili contaminazioni batteriche, che con il tempo potrebbero contribuire a corrodere i metalli che compongono lo scheletro.

Questi accorgimenti, in teoria, dovrebbero essere sufficienti per garantire che il materiale non venga esposto all’aria per i prossimi 100mila anni. Non tutti gli scienziati, però, concordano: uno studio svedese del 2007 ha avanzato infatti l’ipotesi che il rame sia suscettibile all’azione dell’acqua, anche a quella totalmente priva di ossigeno disciolto che potrebbe filtrare a una tale profondità. 

Se fosse vero, un’infiltrazione nei prossimi millenni potrebbe corrodere velocemente i gusci esterni dei contenitori delle barre di carburante, e quindi in breve tempo anche quelli interni, di ferro, raggiungendo i materiali radioattivi e minacciando di trasportarli verso le fonti idriche utilizzate dalle popolazioni che abitano nell’area. Secondo i costruttori e le autorità finlandesi, comunque, si tratta di un’eventualità più che mai remota. E se anche dovesse realizzarsi, i calcoli effettuati rassicurano sulla quantità di radiazioni a cui potrebbero essere esposte le popolazioni dell’area: molto inferiori – dicono – rispetto ai livelli di guardia.

Iniziano le operazioni

I lavori di costruzione a Onkalo sono praticamente completati. E la struttura dovrebbe diventare operativa nel giro di uno o due anni, iniziando quindi a intombare nei suoi tunnel migliaia di tonnellate di combustibile esausto accumulate negli anni dalle centrali nucleari finlandesi (in totale nel mondo ce ne sono circa 263mila tonnellate in attesa di smaltimento definitivo). Completato lo smaltimento dei rifiuti già accumulati, accoglierà qualche migliaio di tonnellate di scorie radioattive ogni anno per i prossimi 100 anni, e verrà quindi sigillata e abbandonata in attesa che, nell’arco dei prossimi 100mila anni, il materiale al suo interno perda ogni residuo di radioattività pericolosa.

Per anni si è dibattuto su come identificare i siti di stoccaggio a lunghissima durata, come quello di Onkalo, con cartelli e simboli che possano risultare comprensibili anche tra decine di migliaia di anni, quando potrebbero non essere più parlate le lingue utilizzate oggi sulla Terra o le future culture umane potrebbero aver preso strade molto diverse da quelle che conosciamo oggi. Una vera e propria disciplina accademica chiamata semiotica nucleare è stata dedicata al tema (senza produrre, a dire il vero, risultati apprezzabili), ma i finlandesi, per ora, hanno scelto un approccio più semplice: non lasciare nessuna traccia. Una delle caratteristiche principali della nostra specie, d’altronde, è la curiosità, e un segnale di qualunque tipo – è stato questo il ragionamento – non farebbe che stuzzicare la fantasia degli uomini del futuro, spingendoli magari ad aprire il deposito senza sapere di cosa si tratta. Meglio dimenticarsi per sempre di Onkalo, quando arriverà il momento, e sperare che lo stesso valga anche per i nostri discendenti.

Via: Wired.it

Credits immagine: Thomas Millot on Unsplash