Categorie: SaluteVita

Se quello che mangiamo fa bene al cuore

Mangiare frutta e verdura aiuta a tenere lontano l’infarto anche nelle persone che, per cause genetiche, sono più soggette alle malattie cardiocircolatorie. È quanto emerge dallo studio condotto dai ricercatori guidati da James C. Engert della McGill University, in Canada, su oltre 27 mila persone di diversa nazionalità. I risultati della ricerca, pubblicati su Plos Medicine, confermano ciò che i biologi sanno da tempo: che siamo il prodotto dell’interazione tra i geni e l’ambiente in cui viviamo.  

Il rischio di sviluppare malattie dell’apparato cardiocircolatorio può aumentare a causa di variazioni genetiche a carico di specifiche regioni del Dna. Tra queste, le più rilevanti sono rappresentate da un gruppo di cosiddetti polimorfismi a singolo nucleotide (Snps, cioè differenze negli elementi che costituiscono il Dna) localizzati in una regione cromosomica chiamata 9p21. Ma non è ancora chiaro se e in che misura fattori ambientali come la dieta possano influire sul profilo genetico. Inoltre la maggior parte degli studi condotti finora ha riguardato campioni di popolazione omogenei, appartenenti per lo più al ceppo europeo.

L’equipe di Engert ha analizzato invece il Dna di oltre otto mila soggetti (Europei, Asiatici, Cinesi, Latinoamericani, Arabi) coinvolti nel progetto Interheart, uno studio che investiga sui rischi di infarto del miocardio. Ha così individuato quattro Snps particolarmente critici. Nelle persone che  possiedono queste varianti, infatti, la probabilità di un attacco di cuore aumenta di un quinto. Ma l’effetto negativo di questi polimorfismi può essere mitigato da una buona alimentazione (soprattutto per il Snp chiamato rs2383206). A parità di dieta poco equilibrata, infatti, i pazienti portatori della variante rs2383206 hanno il doppio delle possibilità di essere colpiti da infarto rispetto alle persone senza predisposizione genetica. Tuttavia, se la dieta è ricca di frutta e verdura, il rischio di un attacco di cuore diventa uguale in tutti i soggetti, a prescindere dal profilo genetico.

Gli stessi risultati sono emersi dall’analisi genetico-ambientale di oltre 19 mila finlandesi coinvolti in un progetto analogo all’Interheart. Anche se bisognerà replicare i risultati su un campione più ampio, lo studio dimostra comunque che, anche nelle malattie, l’azione dei geni non è mai isolata, ma risente dell’influenza dell’ambiente circostante.

Riferimenti: PLoS Med doi:10.1371/journal.pmed.1001106

Martina Saporiti

Laureata in biologia con una tesi sui primati, oggi scrive di scienza e cura uffici stampa. Ha lavorato come free lance per diverse testate - tra cui Le scienze, Il Messaggero, La Stampa - e si occupa di comunicazione collaborando con società ed enti pubblici come l’Accademia dei Lincei.

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