Appena 60 mutazioni per generazione. Tante infatti sono quelle che ogni individuo eredita dal padre e dalla madre, in misura diversa da ciascuno dei due. A ridimensionare il numero di “errori” presenti nel Dna di ciascuno rispetto a quello dei propri genitori, finora valutato intorno ai 100-200, sono stati i ricercatori del Wellcome Trust Sanger Institute, insieme a quelli dell’Université de Montreal, della North Carolina State University e del Broad Institute of Harvard and MIT. Il loro studio, descritto sulle pagine di Nature Genetics, rappresenta la prima conta diretta del numero di mutazioni – che hanno luogo durante il processo di formazione di ovuli e spermatozoi e quindi assenti nelle altre cellule dei genitori – passate direttamente da un padre o una madre a un figlio.
Tali mutazioni sono molto rare, mediamente una ogni 100 milioni di lettere del Dna e solo un’analisi completa del genoma umano di un individuo e il suo confronto con quello dei genitori consente di identificarle. Tanto hanno fatto i ricercatori.
Per prima cosa gli studiosi hanno prelevato dalla banca dati del 1000 Genome Projects (vedi anche Galileo) i codici genetici dei membri di due diverse famiglie composte da due genitori e un unico figlio. Successivamente hanno analizzato quello di quest’ultimo e, una volta individuate tutte le mutazioni, le hanno distinte tra quelle che hanno avuto luogo durante la vita dell’individuo e quelle avvenute durante la produzione delle cellule germinali. Il Dna dei figli è stato poi confrontato con quello dei rispettivi genitori per individuare eventuali differenze. I risultati hanno mostrato che in una famiglia il 92 per cento delle 60 circa mutazioni riscontrate proveniva dal genoma paterno, mentre nell’altra solamente il 36 per cento.
E questa, dopo l’esiguo numero di errori, è stata la seconda sorpresa per i ricercatori. “Molti si aspettano che la maggior parte delle mutazioni provengano dal Dna paterno a causa del maggior numero di volte che questo deve essere copiato per la formazione di uno spermatozoo, rispetto a quanto avviene per l’ovulo”, racconta Matt Hurles co-leader dello studio.
Riferimenti: Nature Genetics doi:10.1038/ng.862
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