Categorie: AmbienteSocietà

Sopravvivere senza petrolio

Jeremy Leggett
Fine corsa. Sopravviverà la specie umana alla fine del petrolio?
Einaudi, 2006
pp.387, euro 15,80

 

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La fine del petrolio è un certezza: prima o poi si esaurirà. Altrettanto certo è il fatto che diventerà poco conveniente estrarlo, dovendo impiegare più energia di quanta se ne ricaverebbe. La grande controversia è quindi tra pessimisti e ottimisti: i primi sostengono che entro pochi decenni (non più di due) il petrolio diventerà una risorsa scarsa ed estremamente costosa. I secondi affermano che in realtà le riserve sono tali da poterci portare fino alla fine del secolo almeno, sostenendo anche la crescita e lo sviluppo economico dei grandi paesi asiatici, come Cina e India. Avremmo dunque tutto il tempo per prepararci alla fine dell’oro nero, e nel frattempo usare l’auto per risparmiare un quarto d’ora di camminata o 5 minuti di bicicletta. “Niente panico” è il messaggio delle grandi compagnie petrolifere (private e non) e di molti governi che piuttosto che pensare alle fine del petrolio spendono miliardi per difendere militarmente la dipendenza dai combustibili fossili.

Tuttavia, “niente panico” è anche il messaggio che convoglia questo bel libro di Jeremy Leggett: niente panico ma a condizione di muoversi subito, da oggi, per modificare la nostra società e abbandonare il petrolio. Geologo di formazione, Leggett è stato per molti anni alle dipendenze di aziende petrolifere. Dopo essersi reso conto che le riserve dichiarate dalle diverse compagnie erano leggermente sovrastimate, nonché dei numerosi mezzi per rendere la nostra società dipendente dai combustibili fossili (per esempio, l’acquisto e lo smantellamento delle reti ferroviarie suburbane a Los Angeles), Leggett è divenuto un attivista di Greenpeace, di cui è direttore scientifico, oltre ad investire nell’industria dell’energia solare. Con dovizia di particolari, Leggett spiega perché secondo lui i pessimisti hanno ragione, in quella che è sicuramente la parte più convincente del testo. Inoltre, mette bene in luce che anche se avessero ragione gli ottimisti, non ci possiamo permettere un altro secolo di fonti fossili: gli sconvolgimenti ambientali che realisticamente ne seguirebbero sarebbero tali da rendere la riconversione immediata alle fonti energetiche rinnovabili non solo necessaria ma anche conveniente (come stanno sottolineando le maggiori compagnie di assicurazioni).

Meno brillante, perché comunque va ad affrontare un campo molto grande e ancora in via di sviluppo, è la parte dedicata alle alternative al petrolio e agli altri combustibili fossili. Dato il dichiarato conflitto di interessi, molte pagine sono dedicate all’uso dell’energia solare, in grado di soddisfare gran parte della richiesta. Con una rete diffusa di microgenerazione che combini solare, eolico e idrico (consumando l’energia là dove viene prodotta) sarebbe possibile superare il modello energetico centralizzato. Rimarrebbe il problema dei trasporti e delle grandi necessità produttive. In questo caso la risposta potrebbe venire da megaimpianti solari (facenti le funzioni delle odierne centrali) e dall’uso dell’idrogeno come vettore energetico pulito.

Leggett propone dunque un grande ventaglio di soluzioni, con fonti sicure e a basso impatto ambientale (escludendo quindi il nucleare), mentre non batte molto il tasto della decrescita, intesa come minore consumo di energia, se non per rendere più morbido l’impatto post-petrolio. Sottolinea invece con forza la necessità di interventi politici urgenti, che spingano rapidamente verso la transizione. Il tempo non sembra essere molto.

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