Curare le malattie neurodegenerative con le cellule staminali è ancora una scommessa per la medicina. Uno dei limiti al loro impiego in terapia è la mancanza di prove di tossicità sull’essere umano. Ora però un gruppo di ricercatori italiani, guidato da Letizia Mazzini dell’Università di Novara, è riuscito a dimostrare, su nove pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica, che il trapianto di cellule staminali del midollo osseo non provoca effetti collaterali evidenti. Dunque, seppure testata su un esiguo numero di persone, a quattro anni dall’intervento la terapia cellulare si è dimostrata sicura. Lo studio, apparso sulla rivista Journal of the Neurological Sciences, potrebbe aprire la strada a nuovi trial clinici più allargati.
La sclerosi laterale amiotrofica causa degenerazione progressiva e irreversibile dei neuroni motori, fino a paralisi e morte per arresto respiratorio nel giro di due-cinque anni. Le cause della malattia sono sconosciute, anche se, da recenti studi, sembrerebbero coinvolti processi infiammatori a carico della porzione circostante che dà sostegno ai neuroni. Le cellule staminali utilizzate, capaci di produrre sostanze che aiutano la crescita dei neuroni e stimolano lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni, sono state isolate dal midollo osseo di ciascun paziente e sono state fatte moltiplicare in laboratorio. Successivamente, le cellule, non essendo in grado di passare attraverso la barriera che protegge il sistema nervoso, sono state trapiantate direttamente nella spina dorsale.
Per ragioni etiche, la scelta dei soggetti da includere nella sperimentazione è ricaduta su pazienti con sclerosi allo stato avanzato. Questo ha determinato la morte di quattro dei nove malati. Tuttavia, i risultati dello studio hanno confermato l’assenza di tossicità o di crescita anormale di cellule a seguito del trapianto. “In qualche paziente si può vedere un possibile beneficio, per cui ci sono buone probabilità che le cellule staminali del midollo possano essere utilizzate nei malati di sclerosi laterale amiotrofica”, scrivono gli autori. Non prima, comunque, di aver condotto trial su un maggior numero di soggetti. (s.m.)