Karen Thompson Walker
L’età dei miracoli
Mondadori 2012, pp. 250, euro 18,50
Niente a che vedere con la profezia dei Maya. “Una catastrofe invisibile”, questo pensa Julie all’inizio. Nessun morto, nessun ferito, nessun filmato da mostrare in televisione e nessuna casa che crolla. Solo un rallentamento della rotazione terrestre, che comincia a manifestarsi con l’allungamento del periodo di luce: Julie, dodici anni, si sveglia una mattina, e alla televisione annunciano che il giorno appena passato è durato cinquantasei minuti in più del normale. All’inizio, pochi intorno a lei se ne accorgono: il cielo è sempre il cielo, gli eucalipti ondeggiano al vento, il tè è sempre tè, nella sua tazza. “Se non avevi ascoltato il telegiornale, il paesaggio sembrava sempre uguale”. Alla notizia ufficiale di quanto è accaduto, però, le autostrade si intasano, i supermercati vengono svuotati, intere famiglie si stipano in piccoli camper per scappare, inutilmente, oltre i confini dello stato.
Eppure Julie vive in California, dove la gente è mediamente abituata alle perturbazioni della terra, dove “non ci spaventavamo vedendo delle crepe nei nostri marciapiedi e le piscine a volte sciabordavano come catini colmi d’acqua”. Il libro di Karen Thompson Walker ci racconta proprio come, da quel fatidico giorno, la rotazione terrestre continui a rallentare e le ore di luce aumentino sempre più: il secondo giorno si allunga di altri quaranta minuti, poi di altri quaranta e altri quaranta ancora, tanto che le trasmissioni televisive mostrano, anziché i valori delle azioni, le variazioni della durata di un giorno sulla terra: “26 ore, 7 minuti, in aumento”.
Tutti cominciano a interrogarsi sul perché (un meteorite? Una bomba atomica?), scienziati in giacca e cravatta parlano dagli schermi sempre accesi. “Se la rotazione terrestre continuasse a rallentare potremmo aspettarci cambiamenti nelle condizioni meteorologiche. Assisteremo a terremoti e tsunami. Potremmo osservare estinzioni in massa di piante e animali”. Il rallentamento ingrossa le maree al punto che gli abitanti della costa sono costretti ad abbandonare le loro case. I ghiacciai si sciolgono più velocemente, alcuni vulcani da tempo dormienti iniziano a gorgogliare. Il governo rassicura sulla capacità di adattamento dell’essere umano, orde di pazzi rivendicano di aver predetto il disastro.
I giorni continuano a espandersi, gli umani si trovano costretti a vivere sotto una nuova forza di gravità, i giocatori di baseball si accorgono che le palle non volano lontano come prima, e anche Julie trova sempre più difficile giocare a calcio. Gli uccelli, disorientati, si schiantano al suolo e ogni tramonto comincia a essere vissuto con suspense. Niente funziona più come prima, ogni ritmo viene sconvolto. I corpi cominciano a invecchiare meno rapidamente, i moribondi muoiono di morti più lente, i neonati impiegano più tempo per nascere.
Julie comincia a trascorrere le nuove e infinite giornate con Seth Moreno, il compagno di classe schivo che si sposta unicamente su uno skateboard. Giornate a ciondolare sull’asfalto rovente di strade ormai deserte, con un’unica certezza: “stiamo vivendo in tempi eccezionali”. I due ragazzi si muovono in un quartiere sedato dalla catastrofe, con una vitalità che stride con lo stato soporifero cui si sono abbandonati gli adulti. Eppure sarà proprio Seth il primo a essere contagiato dal “mal di gravità” che comincia a dilagare tra la popolazione. Poi toccherà alla madre di Julie, fiaccata da nausea, vomito, capogiri e con “l’insonnia che le scorre nelle vene”.
Quando il giorno raggiunge le quaranta ore, le autorità chiedono alla popolazione di seguire il ciclo normale delle ventiquattro ore a cui si era abituati. Vengono così riesumati gli orologi, che appaiono ormai oggetti antiquati. ma non si vive più in sintonia con il sole. Eppure, sei o sette settimane dopo l’inizio del rallentamento, si comincia a diffondere una certa noia. Julie capisce allora che ci si adatta a tutto, ma proprio a tutto. Tranne che all’ignoto. “Avevamo i missili, i satelliti, la nanotecnologia, braccia robotiche e mani robotiche, e robot per esplorare la superficie di Marte. Eravamo capaci di riprodurre la pelle umana, di clonare pecore. Potevamo fare in modo che il cuore di un uomo morto pompasse sangue dentro il corpo di uno sconosciuto. Eppure l’ignoto superava ancora il noto”.