Strategie per riconquistare terreno

La crescente sensibilità sia degli Enti Pubblici che Privati verso il problema della contaminazione degli insediamenti industriali, aree dismesse, discariche abusive, unitamente all’elevato numero di dismissioni di siti industriali sui quali in molti casi si sono concentrati ingenti interessi economici finalizzati al loro cambio di destinazione d’uso, ha riproposto l’interesse in tema di bonifiche di siti contaminati. Per sottolineare l’entità del fenomeno, secondo una stima del Ministero dell’Ambiente, in Italia i siti contaminati da inquinamento industriale sarebbero almeno 11.000 [1]. L’emanazione del D.Lgs. 22/97 (“Decreto Ronchi”) e del connesso D.M. 471/99 [2-3] hanno affrontato la regolamentazione del tema specifico: stabilendo i limiti di accettabilità di contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e sotterranee; fissando i criteri e le procedure amministrative con cui debbono essere condotte le bonifiche dei siti inquinati ed i relativi controlli ed individuando dei criteri generali per la progettazione degli interventi di bonifica.

Molto complessa è la scelta della migliore strategia di recupero dell’area che deve essere fatta in base alle caratteristiche del sito e dopo un’attenta analisi dei costi/rischi/benefici relativa e in particolare dei costi della tecnica di bonifica e di gestione dell’area per la messa in sicurezza e dei rischi e benefici derivanti dal recupero dell’area. Nel caso di contaminazione del terreno, la scelta della tecnologia di bonifica deve essere valutata anche in relazione agli effetti finali sulla qualità del suolo. Di seguito verranno descritte alcune delle tipologie di inquinamento e ripristino ambientale, attualmente più diffuse.

Gli inquinanti

Molteplici posso essere le tipologie di inquinamento dei terreni e il più delle volte sono legate ai processi produttivi (incluso lo smaltimento dei rifiuti non controllato) preesistenti nell’area inquinata. Gli inquinamenti più diffusi sono legati alla presenza di classi di composti chimici che più frequentemente è possibile rinvenire. In una classifica elaborata dall’Epa (Environmental Protection Agency) ai primi posti sono elencati: 31 cloroalifatici; 26 pesticidi; 17 idrocarburi policiclici aromatici; 15 composti cloroaromatici; 13 aromatici semplici; 13 composti azotati, ai quali vanno aggiunti anche 13 metalli pesanti [4]. Di seguito esaminiamo più nel dettaglio alcune di queste classi e le loro principali caratteristiche tossicologiche.Composti organici volatili alifatici. Gli idrocarburi alifatici (sostanze organiche a basso peso molecolare) sono inquinanti molto comuni nelle zone industriali e commerciali e spesso si rinvengono insieme a oli e a gas.

Prevalentemente, sono derivate dal petrolio e tendono ad evaporare nell’atmosfera piuttosto che rimanere sulla superficie del terreno o dell’acqua. Il processo di evaporazione inizia subito dopo lo sversamento nell’ambiente e i prodotti più leggeri possono evaporare completamente insieme a una frazione significativa di petrolio raffinato. Nell’ambito della tossicologia non sono da ritenersi tra i più tossici: l’esano è da annoverare tra i più pericolosi. Al momento, nessun alcano, a eccezione degli alcani clorurati e alogenati in genere, è indicato come cancerogeno, teratogenico o mutanogenico.Composti organici volatili aromatici (Btex). Tramite la sigla Btex si individuano composti organici volatili quali benzene, toluene, etilbenzene e xilene. Solitamente tali sostanze si associano al rischio per l’uomo e sono menzionati per la loro tossicità, pericolosità e cancerogeneità (benzene). Nella letteratura le conoscenze sulle proprietà tossicologiche di molte di queste sostanze non sono consolidate ma si ritiene che a esse si possano associare alcuni effetti immunologici, riproduttivi, fetotossici e genotossici.Idrocarburi policiclici aromatici (Pah).

Gli idrocarburi policiclici aromatici, sono composti organici semivolatili. Tali composti sono presenti nel petrolio grezzo, negli oli minerali usati, nei fumi da combustione incompleta, nel catrame di carbone. Sono stati individuati più di 100 Pah differenti che sono presenti in genere come miscela. I Pah sono composti chimici solidi caratterizzati da elevata tensione di vapore; i più volatili sono incolore o giallo-verdi chiari. Molti di essi hanno odore gradevole. Alcuni sono annoverati tra i più potenti cancerogeni e, dato che sono prodotti della combustione incompleta di materiale organico in genere (carbone, petrolio, legno, tabacco), sono molto diffusi e possono rappresentare una causa dominante del cancro nell’uomo e del danneggiamento del Dna.Fenoli. I fenoli sono prodotti di ossidazione intermedia degli idrocarburi aromatici.

I fenoli più semplici sono liquidi o solidi bassofondenti che hanno punti di ebollizione molto alti e sono più solubili in acqua rispetto agli altri aromatici. Queste sostanze di per sé sono incolori e sono caratterizzati da una debole acidità.Metalli pesanti. I metalli pesanti che più frequentemente si rinvengono in ambiente sono: alluminio, antimonio, arsenico, bario, berilio, cadmio, cromo (III), cromo (IV), rame, manganese, mercurio, nickel, piombo, selenio, tallio. Rispetto agli inquinanti organici, hanno come caratteristiche quella di non poter essere distrutti e di bioaccumularsi (nei tessuti biologici degli animali e dell’uomo), inoltre, essendo in genere sotto forma di ioni e quindi più solubili, risultano mobili nell’ambiente.

Le tecnologie

Su un terreno inquinato due sono le strategie principali di intervento possibili: la messa in sicurezza permanente e la bonifica del sito vera e propria. La prima viene definita come l’insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti (il suolo, le falde e l’aria). E’ applicata solo quando non è possibile procedere alla rimozione degli stessi pur applicando le migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili. La bonifica di un sito viene, invece, definita come l’insieme degli interventi atti a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque sotterranee o nelle acque superficiali a valori di concentrazione limite stabiliti ed accettabili per la destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici.

La scelta della tecnologia più idonea è l’elemento più importante per la riuscita dell’intervento in termini sia di efficacia nella riduzione di concentrazione che di costi, ma è limitata dall’applicabilità alle diverse e specifiche situazioni ambientali. Fra i trattamenti di bonifica distinguiamo in particolare quelli in sito e quelli ex sito. I primi, cioè quelli che impiegano tecnologie che non richiedono la rimozione del terreno inquinato, sono meno costosi perché non prevedono le attività di scavo e di trasporto ma sono più difficili da controllare e da valutare in termini di prestazioni raggiunte e richiedono inoltre tempi più lunghi di trattamento. In circostanze di contaminazione al di sotto di strutture esistenti o al di sotto della linea di falda la scelta di intervenire in sito è peraltro obbligata. Nei trattamenti ex sito, il materiale inquinato viene rimosso e quindi decontaminato; l’intervento poi può essere eseguito off site o on site cioè al di fuori o all’interno dell’area da bonificare. In questo caso i trattamenti richiedono tempi di esecuzione più brevi in quanto più controllabili, poiché è più facile intervenire sui parametri di processo e ottimizzarli. Le attività di rimozione, stoccaggio e trasporto del materiale, causano spesso però problemi di sicurezza e di cattivi odori a cui è necessario porre rimedio.

Esistono oggi giorno diverse tipologie di trattamento di bonifica, alcune ormai consolidate altre ancora in via di sviluppo, individuabili in tre gruppi principali: trattamenti biologici; trattamenti termici; trattamenti chimico-fisici.Confrontando i quantitativi di terreno che annualmente vengono sottoposti a decontaminazione in Germania (figura sopra), si nota come la tecnologia più applicata attualmente sia il trattamento biologico [5]. Negli Stati Uniti, il 41% delle tecnologie applicate per la bonifica dei siti inclusi nel programma Superfund sono trattamenti in sito, di cui, l’88% è rappresentato dai trattamenti chimico-fisici (estrazione dell’aria interstiziale, inertizzazione, lavaggio) e termici (ossidazione, vetrificazione). Trattamenti biologici. I metodi di risanamento dei siti contaminati che si basano sull’impiego di processi biologici (essenzialmente batteri e funghi capaci di svolgere attività degradativa su inquinanti organici) prendono il nome di biorisanamento [6-7].

Tuttavia, le molecole organiche di sintesi chimica, prodotte praticamente a partire dal XIX secolo, solo in parte possono essere degradate dagli enzimi esistenti [8]. Per loro l’attacco è reso difficile dal fatto che i microrganismi non possiedono l’informazione genetica per la loro degradazione; esse sono presenti nell’ambiente da troppo poco tempo per consentire la selezione di eventuali popolazioni di microrganismi che abbiano acquisito per qualche mutazione la capacità biodegradativa desiderata. Un particolare esempio di biorisanamento in sito è fornito dalla fitodepurazione in cui nel processo degradativo vengono impiegate le piante (figura a sinistra). E’ indubbiamente una tecnologia emergente che deve essere presa in considerazione per i costi ridotti, i vantaggi estetico-ambientali e l’applicabilità per lunghi periodi di tempo [9].

L’attenuazione naturale differisce dal biorisanamento in quanto prevede interventi di rimozione dei contaminanti per processi di degradazione biologica e fisico-chimica, di tipo spontaneo. Il termine attenuazione naturale controllata, come utilizzato dalla statunitense. EPA [10] si riferisce alla potenzialità che hanno i processi naturali di consentire il raggiungimento degli obiettivi di bonifica specifici per il sito, come sinteticamente indicato in Figura. In Tabella vengono riportati i principali fenomeni che possono essere considerati parte integrante del processo di attenuazione naturale, con inserita una descrizione sommaria dei singoli processi e degli effetti sulla concentrazione del contaminante.L’attenuazione naturale differisce dal biorisanamento in quanto prevede interventi di rimozione dei contaminanti per processi di degradazione biologica e fisico-chimica, di tipo spontaneo. Il termine attenuazione naturale controllata, come utilizzato dalla statunitense. EPA [10] si riferisce alla potenzialità che hanno i processi naturali di consentire il raggiungimento degli obiettivi di bonifica specifici per il sito, come sinteticamente indicato in Figura 3.

Nella Tabella vengono riportati i principali fenomeni che possono essere considerati parte integrante del processo di attenuazione naturale, con inserita una descrizione sommaria dei singoli processi e degli effetti sulla concentrazione del contaminante.Trattamenti termici. I trattamenti termici dei terreni contaminati sono prevalentemente tecnologie ex sito e consentono di rimuovere o immobilizzare efficacemente le sostanze organiche. A seconda delle temperature impiegate, possono essere classificati in due distinte categorie: trattamenti di termodistruzione [11]; trattamenti di desorbimento termico [12]. L’efficienza dei sistemi dipende dalle caratteristiche del terreno (dimensione delle particelle, umidità), dal tipo di inquinante (pressione di vapore, peso molecolare) e dalla tecnologia impiegata, che prevede diverse condizioni di temperatura di esercizio e di tempo di residenza alle alte temperature.

Se da una parte la prima, grazie alle elevate temperature di esercizio (1500°C-2000°C), garantisce la totale distruzione delle sostanze organiche contaminanti, anche quelle più stabili, quali pesticidi e diossine, raggiungendo una efficienza di rimozione del 99,99%, dall’altra esso risulta un processo molto costoso e che porta a una modifica strutturale del terreno (vetrificazione). Di fronte a una minore efficienza di rimozione (con temperature di esercizio in genere variabili tra 90° e 650°C), il desorbimento termico presenta costi ridotti e minori problemi in termini di gestione dei residui, permettendo il riutilizzo del suolo contaminato. Una forma di intervento termico che, pur sposandosi bene con la filosofia del riciclo e del recupero energetico, per le incertezze che comporta, non ha ancora avuto un’estesa applicazione consiste nell’inglobare nella materia prima per la produzione di manufatti quali mattoni, asfalto o cemento il terreno contaminato utilizzandolo come aggregato. La diffidenza verso questo utilizzo del terreno contaminato è dovuta ai possibili problemi che possono insorgere in termini di durabilità del prodotto finale, di rilascio degli inquinanti alla lisciviazione [13].

Trattamenti chimico-fisici. Le tecniche di bonifica che impiegano processi fisici sono utilizzate allo scopo di separare, isolare o concentrare le sostanze inquinanti senza distruggerle. I processi di trattamento fisici sono comunemente impiegati sia in sito che ex sito e possono essere classificati in funzione dell’effetto del trattamento sulla contaminazione: processi di estrazione: i contaminanti sono rimossi dal suolo mediante un agente estrattivo (ventilazione con aria, lavaggio con acqua od altri solventi organici, decontaminazione elettrocinetica tramite l’azione di un campo elettrico generato sul terreno); processi di inertizzazione: la mobilità dei contaminanti viene sostanzialmente ridotta mediante un processo di confinamento in una matrice solida (solidificazione) e/o di stabilizzazione chimica (solidificazione/stabilizzazione).

La ventilazione del suolo (Soil Venting, SV) permette la decontaminazione della matrice solida sfruttando due proprietà fondamentali dei contaminanti: la volatilità e la biodegradabilità. E’ una tecnica in sito rapida, relativamente economica e applicabile con efficacia al trattamento di terreni insaturi contaminati da composti altamente volatili (diclorometano, benzene, toluene, sostanze organiche volatili) e sostanze inquinanti non miscibili in acqua (NAPL). L’obiettivo può essere ottenuto attraverso sia l’iniezione (schema a sinistra) che l’aspirazione (schema in basso) (Soil Vapor Extraction, SVE) di aria dal suolo [14].

L’aria estratta deve poi necessariamente essere avviata a una linea di trattamento.Il trattamento del terreno per elutriazione è una tecnologia ex sito che si basa su principi fisici per allontanare i contaminanti, sia organici che inorganici mediante una separazione dimensionale delle particelle. Sfruttando differenze di granulometria, gravità specifica, velocità di sedimentazione, proprietà chimiche superficiali, ecc. è possibile isolare o liberare le particelle di terreno contaminate da quelle non contaminate. Il lavaggio del terreno, quando utilizzato come tecnologia in sito, prevede l’estrazione dei contaminati avviene per immissione di un fluido acquoso in una serie di pozzi ubicati a monte dell’area contaminata ed estratto a valle di essa, per essere poi adeguatamente trattato. Si utilizza come fluido estraente per lo più acqua, ricorrendo all’aggiunta di addittivi chimici per migliorare eventualmente l’efficacia del trattamento.

Tra i fluidi estraenti più utilizzati si hanno: acqua calda o fredda; acqua con tensioattivi; soluzioni acide o alcaline; agenti complessati e cosolventi organici. Il trattamento dei terreni coi tensioattivi (ancora in fase sperimentale) richiede un’attenta indagine preliminare per individuare il tensioattivo più indicato per la situazione in esame [15] ma può dare efficienze di rimozione confrontabili ad altre tecniche più consolidate (Figura 6). Le prestazioni del processo dipendono da molti fattori: tempo di contatto tra la soluzione dilavante e la zona contaminata, adeguatezza del fluido estraente utilizzato, umidità del terreno, contenuto organico, tessitura, permeabilità del terreno. La massima attenzione va anche posta nella valutazione preventiva delle reazioni possibili tra contaminanti diversi e agente estrattivo, al fine di evitare la formazione di composti ancor più dannosi all’ambiente di quelli originari.

La decontaminazione elettrocinetica è un processo innovativo che consiste nell’applicare una corrente elettrica ad un terreno contaminato caratterizzato da bassa permeabilità all’acqua [16-17]. Attualmente, è stato applicato con successo, anche con costi contenuti, sia all’estrazione di contaminanti inorganici (zinco, cadmio, cesio, piombo, rame, uranio) che organici (toluene, benzene, etilene, xilene, tricloroetilene, acido acetico, fenolo). Il processo consiste nell’applicare, grazie a elettrodi infissi nel terreno, una corrente continua; in questo modo, gli ioni positivi disciolti nella fase acquosa migrano, assieme alle molecole d’acqua, verso il catodo (figura a lato). Anodo e catodo sono integrati in speciali sistemi di circolazione all’interno dei quali si trova acqua eventualmente addittivata. L’importanza del sistema di circolazione è quello di fungere da mezzo di raccolta dei contaminanti che reagiscono agli elettrodi, permettendone l’aspirazione in superficie e quindi l’adeguato trattamento in impianti chimico-fisici esterni.

Nei processi di inertizzazione con la stabilizzazione/solidificazione in sito (SS) gli inquinanti vengono intrappolati fisicamente dentro una matrice solida (solidificazione) e/o vengono indotte delle reazioni chimiche che riducono la tendenza dei contaminati a lisciviare diminuendone la solubilità, la mobilità e la tossicità. Non è quindi una vera e propria bonifica perché ci si limita a fissare gli inquinanti e non a rimuoverli. I materiali che più si utilizzano per mescolare i contaminanti sono: argilla, carboni attivi, composti sintetici, monomeri organici, cemento e calce. Un esempio di trattamento è riportato nella figura qui sopra.

BIBLIOGRAFIA

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[2] Repubblica Italiana, Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n.22, “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”, G.U. 15 febbraio 1997, n.38, S.O.
[3] Repubblica Italiana, Decreto Ministeriale 25 ottobre 1999, n.471, “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e successive modificazioni e integrazioni”, G.U. 15 dicembre 1999, n.293. S.O.
[4] Mohammed N., Allaya R.I., Nakla G.F., farooq S., Husain T. “State of art review of bioremediation studies”, J. Environ. Sci. Health, A31 (7), 1996.
[5] Schmitz H.J., Andel P., “Die Jagd nach dem boden wird harter”, Terratec, 5, 17-31, 1997.
[6] Atlas R.M., “Microbial degradation of petroleum hydrocarbon: an environmental perspective”, Microbiological Review, 45,1981.
[7] Baker K.H., “Bioremediation of surface and subsurface soils”, Bioremediation, Mc Graw-Hill, Inc. New York, 1994.
[8] Sorlini C., “Principi e potenzialità applicative della bioremediation di siti contaminati”, Atti del 51° Corso di Aggiornamento in Ingegneria Sanitaria-Ambientale, Ed. Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Ambientale e del Rilevamento. Sezione Ambientale, Politecnico di Milano, 2000.
[9] Barbafieri M., “Applicabilità e limiti della fitodepurazione (phytoremediation)”, Atti del 51° Corso di Aggiornamento in Ingegneria Sanitaria-Ambientale, Ed. Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Ambientale e del Rilevamento. Sezione Ambientale, Politecnico di Milano, 2000.
[10] U.S. EPA (1999) Use of Monitored Natural Attenuation at Superfund. RCRA, Directive 9200, 4-17P.
[11] U.S. EPA, Draft engineering bulletin: in situ vetrification, 1990.
[12] U.S. EPA, Engineering Bulletin: thermal desorption treatment EPA/540/2-91/008.
[13] Corinaldesi V., Fava G., Morioni G., Sani D., “Calcestruzzo con inerti da costruzione e demolizione: proprietà meccaniche e meccanismi di lisciviazione”, Proc. Ricicla, , Rimini, Maggioli Editore, 2002.
[14] U.S. EPA, Soil Vapor Extraction: Air Permeability Testing and Estimated Methods. EPA/600/9-91/002.
[15] Fava G., Ruello M.L., Sani D., “Effetto di contaminanti organici sulla permeabilità elettrosmotica di matrici argillose”, VI Convegno Nazionale AIMAT, Modena, 2002.
[16] U.S. EPA, Innovative treatment technologies: overview and guide to information sources, EPA/540/9-91/002.
[17] Fava G., Pasqualini E., Sani D., “Misure di permeabilità elettrosmotica in laboratorio”, XX Convegno nazionale di Geotecnica. Parma, 1999.
[18] Fava G. e Monosi S., “Non ferrous slag in cement mixtures. Immobilisation of heavy metals and leaching mechanism”, Proc. 2nd National Congress in Valorization and Recycling of Industrial Wastes, Ed. M.Pelino, Aquila,1999.

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