Categorie: AmbienteVita

Svelato il mistero delle tigri bianche

Un candido manto bianco con righe marroni o nere, naso rosa, occhi azzurri o blu: si tratta delle tigri bianche, rara variante della tigre del Bengala (Panthera tigris tigris), che ormai sopravvive solamente in cattività. Non essendovene più traccia al di fuori dei giardini zoologici, l’origine della loro particolare pigmentazione è stata per anni al centro di un aspro dibattito, tra chi la riteneva frutto di un difetto genetico (un po’ come l’albinismo), e quanti invece le ritenevano una variante naturale, se pur rara. La soluzione del mistero arriva oggi da uno studio dell’Università cinese di Peking, pubblicato sulle pagine di Current Biology: la variante bianca è dovuta all’azione di un gene, Slc45a2, responsabile della colorazione chiara di diverse altre specie animali. E andrebbe quindi considerata come una variante assolutamente naturale.

Le prime testimonianze dell’esistenza di tigri bianche nel subcontinente indiano risalgono circa al 1500. A differenza delle loro parenti blu, e di quelle nere, di cui esistono testimonianze ma non è mai stata confermata l’esistenza, le tigri bianche sono state incontrate effettivamente in diverse occasioni dai cacciatori e dagli esploratori occidentali e, nonostante l’ultimo esemplare libero sia stato ucciso nel 1958, sopravvivono a tutt’oggi in diversi zoo in giro per il mondo.

La comunità scientifica si divide però da decenni sull’origine di questa variante. Alcuni esperti sostenevano che fosse dovuta ad un difetto genetico, e portavano come prova la frequente presenza in questi animali di problemi come strabismo, o un sistema immunitario indebolito. Altri la consideravano una variante naturale della tigre del Bengala, e attribuivano i difetti presenti negli esemplari conosciuti all’abitudine praticata in molti zoo di far incrociare gli animali bianchi tra consanguinei, per mantenere in vita la particolare colorazione.

Per risolvere il mistero, i ricercatori cinesi hanno mappato i geni di una famiglia di 16 tigri che vivono nel Chimelong Safari Park, in Cina, che include sia esemplari bianchi che esemplari del più comune colore giallo. Hanno poi sequenziato per intero il genoma dei tre capostipiti del branco, per identificare il gene responsabile della pigmentazione delle tigri bianche. L’analisi ha dato i frutti sperati: sono riusciti infatti a risalire ad un gene chiamato Slc45a2, responsabile della pigmentazione, e associato alla colorazione chiara di diverse specie di cavalli, uccelli, pesci, e anche della variante europea dell’essere umano.

La variante di Slc45a2 presente nelle tigri inibirebbe la sintesi dei pigmenti gialli e rossi, senza avere effetto invece su quelli neri, il che spiegherebbe come mai queste tigri mantengono le caratteristiche strisce sulla pelliccia. Secondo i ricercatori, la scoperta dimostra che le tigri bianche non sono frutto di un gene difettoso, ma sono invece parte della naturale variabilità genetica della specie. Bisognerebbe quindi prestare una particolare attenzione alla gestione di questi animali in cattività, così da mantenere in vita una popolazione sana di tigri del Bengala che comprenda sia esemplari gialli che esemplari bianchi.

Riferimenti: Current Biology Doi: 10.1016/j.cub.2013.04.054 

Credits immagine: Nachoman-au/Wikipedia

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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