Contare e misurare il tempo, con i bambini

misurare tempo
(Credits: Aron Visuals on Unsplash)

Continua il racconto di come un concetto così complesso come il tempo è percepito e vissuto dai bambini. Pubblichiamo il terzo capitolo. Qui trovate la prima parte e qui la seconda.

Segnatempo

Oggi facciamo girare le trottole e ne guardiamo il movimento: mentre la trottola gira, noi quante cose possiamo fare? Bisogna cominciare insieme e finire proprio quando lei finisce: non è proprio semplicissimo. Ogni bambino inventa una diversa attività “da frattempo”, chi conta, chi batte sul tavolo, chi versa pugni di bottoni in un barattolo, chi cammina… Come sempre, aspetti di “contemporaneità” e di “durata” si sovrappongono mentre le azioni scandiscono il tempo secondo ritmi di diversa frequenza. Ci sia accorge subito che certi bambini mandano la trottola riuscendo a farla girare a lungo, altri sono meno capaci e il loro tempo-trottola dura pochissimo. Per giunta – forza della suggestione – mentre la trottola rallenta anche alcuni bambini rallentano il loro gesto: è chiaro che non possiamo continuare così, ma intanto notiamo tutto quello che è necessario per avere un segna-tempo decente.

Ci vuole qualcosa che abbia un inizio e una fine (e il movimento della trottola andrebbe bene), ma devono essere sempre alla stessa distanza – dicono i bambini che, come gli adulti, usano parole di spazio per indicare metaforicamente (?) il tempo. Quali sono le cose (i cambiamenti, i movimenti…) che tra il principio e la fine hanno la stessa distanza e, soprattutto, come fare a saperlo? Vengono subito messe in gioco idee sulla regolarità con cui il vero tempo passa:

MARCO S.: Il tempo deve fare ogni giorno lo stesso tempo.

Scuola dell’Infanzia – Modena.

Ricordiamo “gli imbrogli” che avevamo fatto contando il tempo in modo irregolare e cerchiamo, questa volta, ritmi e regolarità: passi ritmati, battiti di mani, filastrocche appena imparate.

Candele che si consumano e bottiglie che si riempiono goccia a goccia fanno parte di qualsiasi repertorio sulla “didattica del tempo” ma come convincere i bambini-senza-orologi che due candele uguali si consumano in tempi uguali? Meglio riempire bottigliette con le gocce del rubinetto, che si possono contare e a cui il ritmo del conteggio ad alta voce garantisce la regolarità. (in realtà, anche questo non è un compito facile: trascinati dal ritmo interno i bambini recitano la “filastrocca dei numeri” senza preoccuparsi di seguire davvero le gocce che cadono).

Abbiamo conquistato parole come inizio, fine, quando, mentre (frattempo)…, e la distanza tra inizio e fine di qualcosa porta a riflettere sulla durata: quanto è lungo un tempo definito? Quanto ne deve passare, perché finalmente succeda quello che ci interessa? Si cercano, nei fenomeni esterni, dei segni che facciano capire il senso delle attese e il modo in cui il tempo passa:

AURORA: Quando sei alla posta e vedi una coda lunga, capisci che devi aspettare tanto tempo prima che arrivi il tuo turno.

CARLOTTA: Capisci anche guardando l’orologio.

EMANUELA: Per me il tempo passa piano perché ci sono tante ore in una giornata.

I elementare – Torino

Con altri bambini si cerca di capire meglio se il tempo c’entra con i giorni, con le settimane, con il passare della vita, con il fatto che qualcuno intanto muore.

CHI: io ho detto che le settimane non hanno né un inizio né una fine, come la nostra vita che non si sa quando è iniziata e non si sa quando finirà.

GLO: è vero perché dopo lunedì viene martedì….. domenica e ricomincia tutto daccapo.

SAM: io quando ho scritto là mi è venuta in mente una cosa da dir : perché una settimana, perché sono fatti come un cerchio di sette giorni che dopo il cerchio si distacca e ne viene fuori un altro, si stacca e ne viene fuori un altro?

ALE: anch’io sono d’accordo, perché prima non hanno un inizio perché non si sa quando sono iniziati i giorni, forse quando non eravamo ancora nati e ancora che non ha fine perché non si sa quando finiranno : forse quando si spezza, boh non so.

STE: settimane significa sette e anche settimane e anche settima e anche altre robe.

DEN: sono d’accordo con Chi perché una settimana sembra quasi una settimana però dopo comincia sempre di nuovo.

GIU: Il tempo c’entra con la settimana? Per me sì perché se il tempo non c’è quando c’è la settimana, allora la sett. resterebbe sempre lunedì.

CHI: Rispondo a Giulia: sì che c’entra il tempo con la settimana perché è vero che se no rimarrebbe sempre lo stesso giorno.

GIOI: ma perché i giorni non cominciano e dopo finiscono, non cominciano e dopo finiscono?

CHI: io intendevo sapere, intendevo che in punto a mezzanotte cambia il giorno.

ERI: è vero che il tempo c’entra, perché anche se si spacca il mondo, passano sempre le settimane.

SAR.B: Ha ragione, perché le settimane sono di più di noi. Perché le settimane non muoiono? Perché non sono vive come noi.

MAT: Ha ragione perché anche se noi siamo morti le settimane continuano sempre anche se tutta la gente del mondo è morta.

GIU: penso che sia vero, perché se muoio, le altre persone non muoiono mica. Oppure se vado in vacanza, tutti non si fermano.. Però le settimane, se viene un terremoto…..

SAM: I giorni, anche quando sei morto, non si fermano ma continuano per sempre. Il mondo non cade.

GIO: Non si possono fermare le settimane mentre il tempo passa. Non si sa chi le ha inventate e non si sa il tempo quando inizia e quando finisce.

III elementare – Spinea (Ve)

Tempo e fatica

La citazione d’obbligo proviene da Une histoire modèle, di Queneau: I popoli felici non hanno storia: la storia è la scienza dell’infelicità degli uomini.

La fiaba della principessa ci invita a pensare a tutto quello che poteva essere successo fuori dal castello: quanto sono lunghi cento anni? Il tempo di una lunga vita umana. Ma prima di tuffarci nel passato ci avventuriamo nel futuro: come saremo noi, come sarà il mondo, tra cento anni? Saremo tutti morti, sostengono i bambini che hanno già vissuto circa dieci anni. Comunque, le previsioni sul futuro sono abbastanza disumanizzate: tecnologie raffinate che sostituiscono ogni attività manuale, mezzi di informazione e comunicazione in abbondanza (fino ad una lettura telepatica del pensiero, da alcuni temuta e da altri molto ambita, per risparmiare fatica, dicono) procedure anti-invecchiamento ed anti-malattia a disposizione, possibilità di vita spaziale (voli interplanetari, colonizzazione di Marte, incontri con extraterrestri…).

Queste fantastiche prospettive non sono condivise con entusiasmo dalle insegnanti che come sempre sono spiazzate dalle innovazioni anche solo immaginarie. E’ però interessante riflettere sulle opposte direzioni degli sguardi culturali delle generazioni e sulle incomunicabilità che inevitabilmente ne derivano. Se per un bambino un mondo tradizionalmente antiquato (a base di pane asciutto e minestra, senza luce elettrica, senza supermercati e senza TV) fosse altrettanto inimmaginabile e “contro natura” del pensiero telepatico? La mancanza di fascino di un futuro tecnologico e la resistenza che gli adulti vi oppongono, è analoga alla non comprensione dei bambini per modi di vivere che non li coinvolgono direttamente?

E’ strano che di solito l’appartenenza ad una cultura si costruisca prevalentemente guardando al passato (e rimpiangendolo anche solo teoricamente), ma impegnandosi poco (giovani e anziani) a condividere un presente e a progettare insieme un futuro possibile.

L’idea di fatica, e dei modi di evitarla, rappresenta lo spunto per nuove discussioni. In televisione alcuni hanno visto bambini africani che vanno a prendere acqua con enormi taniche trascinate poi a casa con rudimentali carriole. Come mai noi non dobbiamo più fare quella fatica, e quali sono le altre fatiche che non facciamo più? Spazio e tempo si mescolano: il presente dei bimbi africani

assomiglia un poco al passato dei nonni

Qui (e oggi)

  • si comprano le cose invece di costruirle. (E’ ovvio che il pane si compri già fatto, che la farina si trovi ben impacchettata nei negozi, che la frutta e le cosce di pollo si trovino nei loro vassoietti in reparti appositi dei supermercati).
  • si spingono i fratelli in carrozzina invece che tenerseli legati al collo
  • per prendere l’acqua, basta aprire il rubinetto

e se ci si annoia… la tecnologia provvede anche a questo.

Risparmio di fatica, uso di strumenti per fare quello che altrove si fa a mano, risparmio di tempo: i bambini non associano esplicitamente tutto questo ad una convenzionale idea di Progresso, ma sembrano abbastanza contenti di non dovere (né sapere) fare quasi niente che richieda fatica

Il fatto che nella loro stessa famiglia i modi di vivere siano cambiati nel tempo, in tanto poco tempo, assume una dimensione fiabesca, quasi da leggenda. Passati recenti e passati lontani si confondono nell’immaginario dei bambini che si sforzano di pensare a situazioni e a modi di vivere “antichi” pur non riuscendo a legarli temporalmente nei loro ritmi e nelle loro correlazioni. Così, si informano, curiosi, su cosa facevano da giovani le loro non poi vecchissime insegnanti, confrontano i racconti con altri ricordi e con qualche particolare esperienza fatta.

Elisa: ma tu da piccola scrivevi con la penna d’oca?

Marco: come fa a parlare la radio se non ha la faccia?

Max: in Sardegna ho visto le barche a remi

Noemi: mia nonna sa fare la marmellata ma non sa usare il minipimer

Veronica: lo sai che le mandorle fanno il latte?

Franca: Mio nonno mi ha fatto vedere la via Lattea, quando era pastore la notte dormiva con le pecore

I elementare – Roma

Citazione: Anche nella nostra cultura del resto –nota G. Marramao in “Minima Temporalia”il bisogno di rinchiudere e conservare il passato nei musei insorge in stretta concomitanza con l’acquisizione dell’idea generale di Progresso.

Pochi decenni di tempo sono stati riempiti da cambiamenti radicali che riguardano sia i modi di vivere sia i modi culturali di gestire la quotidianità. Quanto è importante legare emotivamente questi bambini al loro passato vicino, costruendo memoria su quello che i loro adulti hanno rapidamente superato e (forse) felicemente dimenticato? Bisognerebbe collegare i vari episodi ricordati e raccontati dagli adulti in un tessuto coerente, e trasformare le “curiosità” (anche quelle sulle penne d’oca) in un sistema di quotidianità dove, magari, chi aveva le oche non sapeva cosa farsene delle penne e chi usava le penne presumibilmente non di occupava di oche.

Restano delle domande di fondo: si può costruire appartenenza ad una società che si mantiene viva soltanto nei ricordi, negli oggetti in disuso, nei repertori da museo? Certe esperienze non sono mai state fatte dai bambini e non hanno mai marcato le loro percezioni e la loro memoria: non sanno di quale materia è formato il ricordo degli adulti. E’ solo culturale l’esigenza di ancorare ad una realtà ormai “storica” il loro presente che sembra galleggiare (alla deriva?) su fatiche, tempi e attività che non fanno più parte della vita di oggi.

Forse è ancora possibile simulare situazioni che i nonni hanno ben conosciuto e provare almeno una volta ad immedesimarsi nelle sensazioni del corpo, sempre le stesse anche se connesse ad attività in parte dimenticate. Chi sa che non valga la pena, per una mattina, zappettare l’orto o, per una (sola) notte, diventare pastori, e capire cosa si prova ascoltando i rumori della notte, immersi nel buio e guardando la Via Lattea; ma dormendo in tenda e non all’aperto, per gioco e non per necessità, in un sacco di tessuto tecnologico e non in uno di pelli di pecora. È un episodio fascinoso, una avventura terrificante e pericolosa o una ricostruzione significativa?

Riprendiamo ancora la fiaba come filo conduttore, per mantenere un minimo di distacco e dare spazio al tempo che intercorre tra presente e passato. Prima di addormentarsi per i suoi cento anni, cosa faceva tutto il giorno la Principessa? Proviamo ad immergerci nella vita del castello cercando coerenza nel ricostruire passo passo le attività di quelli che ci vivevano dentro. Senza supermercati, ognuno doveva saper fare un bel po’ di cose e, soprattutto, il lavoro (la fatica) di ognuno dipendeva dal lavoro (dalla fatica) di altri. Per esempio: chi portava la lana alla vecchietta della soffitta che, incurante degli editti del Re, filava e filava? Chi badava alle pecore? Chi tesseva tutto quel filo? Chi cucinava per lei e le portava da mangiare?

La fantasia e le conoscenze dei bambini non reggono – ovviamente – la coerenza di intrecci troppo complessi; ma questo permette almeno di riflettere sulle modalità di una vita diversa, organizzata secondo tempi spazi e attività diverse. Si delinea, anche dietro la principessa che ancora non si è addormentata, un mondo dove non per gioco si dorme all’aperto custodendo le pecore, o dove non per gioco bisogna andare a prendere l’acqua tutti i giorni, dove serve del tempo e del lavoro per preparare la terra, altro tempo e altro lavoro per seminare e poi raccogliere il grano, altro ancora per macinarlo e impastarlo in modo da dar da mangiare, tutti i giorni, ai maggiordomi, ai paggetti, al re e alla principessa. E se per caso il Re voleva per cena un fagiano ci volevano i cacciatori, come ci voleva del tempo e del lavoro per trovare la moltissima legna necessaria ogni giorno per cuocere e cucinare le carni in forni e fornelli che qualcuno doveva aver già costruito… In questo mondo immaginato, le fatiche non sono poi tanto diverse da quelle della vita dei bisnonni o dei nonni ed i bambini le confrontano ancora con le comodità del loro modo di vivere.

L’abitudine a fare molte cose, a farle in fretta e per poco tempo, il fastidio a dover ricominciare da capo, la paura dei tempi morti –ma non si annoiava la principessa? – li portano a stupirsi dei lunghissimi tempi necessari a realizzare, nel castello, qualsiasi attività manuale.

Ricordando l’altra fiaba-metafora su cui avevamo lavorato “Il loro gomitolo di filo si svolgeva lentamente, il nostro va molto più in fretta” conclude qualcuno.

Continua.

Credits immagine: Aron Visuals on Unsplash