Un nuovo approccio di terapia genica contro le malattie del sangue?

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(Foto via Pixabay)

Correggere una mutazione con un’altra mutazione, nell’idea di introdurre un errore “benefico” capace di rimediare a un difetto iniziale. È questa l’idea presentata oggi sulle pagine di Nature Genetics, dove un team di ricercatori australiani e giapponesi racconta come introdurre mutazioni benefiche potrebbe aiutare lo sviluppo di terapie geniche per alcune malattie del sangue.

Il riferimento è alla beta talassemia e all’anemia falciforme, patologie a base genetica in cui le molecole di emoglobina – la proteina contenuta all’interno dei globuli rossi e deputata al trasporto di ossigeno – sono difettose.

L’idea dei ricercatori è quella di superare le mutazioni genetiche tipiche di queste malattie introducendone altre benefiche, ripristinando, con terapia genica, la produzione dell’emoglobina fetale, solitamente presente in piccolissime quantità da adulti. In effetti, continuano gli scienziati, esistono rare condizioni in cui la produzione di emoglobina fetale è elevata e si riescono così ad attenuare le condizioni di alcune di queste patologie. Perché, si sono chiesti i ricercatori, non replicare lo stesso meccanismo? È possibile ripristinare la produzione di emoglobina fetale e compensare così la produzione di emoglobine difettose per chi soffre di beta talassemia e anemia falciforme?

Proseguire su questa strada ha richiesto la combinazione di diverse esperienze: bioinformatica, analisi della struttura delle proteine e genetica, tramite cui i ricercatori sono riusciti prima a capire come è silenziato nell’età adulta il gene dell’emoglobina fetale e poi come riaccenderlo con l’ingegneria genetica. “Abbiamo scoperto che due geni, BCL11A e ZBTB7A, spengono il gene dell’emoglobina fetale legandosi direttamente ad esso – ha raccontato Merlin Crossley della University of New South Wales, a capo dello studio – Mutazioni benefiche funzionano distruggendo  i due siti in cui si legano questi due geni”. Più propriamente i prodotti di questi geni: proteine che hanno la funzione di reprimere l’espressione genetica, in questo caso.

A questo punto quello fatto dai ricercatori – su cellule della linea eritroide, da cui derivano gli eritrociti, le cellule che trasportano l’emoglobina nel sangue – è stato di intervenire geneticamente, con la tecnologia CRISPR-Cas9 – per modificare geneticamente il gene dell’emoglobina fetale. L’alterazione introdotta in questo caso aveva lo scopo di inibire il legame dei repressori (in particolare a livello del gene della catena gamma dell’emoglobina fetale), di fatto togliendo il silenziamento e permettendo all’emoglobina fetale di tornare ad esprimersi. Con una particolarità: “Potremmo parlare di terapia genica biologica perché non introduciamo nuovo DNA nelle cellule – ha spiegato Crossley – piuttosto le ingegnerizziamo con mutazioni benigne che riscontriamo anche naturalmente e che sappiamo poter essere benefiche per le persone con queste malattie”.

La scoperta – seppur in vitro – ha permesso agli scienziati di capire come funzioni in silenziamento di questa proteina, ma anche di aprire la strada allo sviluppo di terapie per queste malattie del sangue utilizzando CRISPR. Prima, come di consueto, sarà necessario replicare i risultati, mostrare la sicurezza dell’approccio e la sua efficacia su larga scala. La strada per ora è e rimane lunga.

Riferimenti: Nature Genetics

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