Troppo sport affatica il cervello e ci rende più impulsivi

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Camminare, correre, nuotare, ogni tipo di sport o attività fisica fa bene al nostro organismo e riduce quasi del 30% la mortalità per tutte le cause. Tuttavia anche il troppo stroppia e, quando lo sforzo diventa eccessivo, a risentirne potrebbe essere non soltanto il fisico ma anche la mente. Oggi uno studio francese pubblicato sulla rivista Current Biology ha dimostrato che nel caso di un’attività fisica molto intensa e prolungata, come quella di uno sport agonistico, il cervello mostra un risentimento in termini riduzione dell’attività di alcuni circuiti neuronali. In altre parole, si stanca e ha una performance cognitiva ridotta. Il risultato è frutto di una ricerca coordinata dal Gruppo ospedaliero de la Pitié-Salpêtrière di Parigi insieme alla Sorbona e ad altre istituzioni.

La “sindrome da sovra-allenamento”

L’idea di studiare i segni della fatica fisica nel cervello viene dagli esperti del National Institute of Sport, Expertise, and Performance (Insep), uno dei centri in cui gli atleti francesi vengono preparati per le Olimpiadi. Alcuni sportivi hanno riportato una “sindrome da sovra-allenamento” con un sensazione di affaticamento eccessivo che ha causato il crollo delle loro performance. I ricercatori si sono chiesti se questa problematica possa provenire in parte da una fatica cerebrale, visibile con opportune indagini dell’attività dei neuroni.

Troppo sport, lo studio

Per cercare la firma della stanchezza nel cervello, gli autori hanno svolto indagini di risonanza magnetica funzionale (fMRI) e test comportamentali in atleti sovra-stimolati rispetto all’esercizio fisico. Per farlo hanno coinvolto 37 sportivi a livello agonistico di età media di 35 anni. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi di cui uno avrebbe incrementato la durata dell’allenamento del 40% per ciascuna sessione per un periodo di tre settimane. Durante tutto il periodo gli scienziati hanno stimato il livello delle prestazioni fisiche e cognitive dei partecipanti, unite a esami di fMRI.

Stanchi e più impulsivi

In generale, gli atleti a cui era stato richiesto uno sforzo più elevato hanno mostrato maggiori segni di stanchezza anche cognitivi. In particolare, durante un test per valutare come avrebbero compiuto delle scelte economiche, si erano mostrati più impulsivi, preferendo ricompense economiche più piccole ma immediate rispetto a premi maggiori che sarebbero arrivati più tardi.

Dalla risonanza, poi, è emerso che l’attivazione della corteccia prefrontale nella parte laterale risulta ridotta rispetto agli atleti che avevano svolto meno esercizio. Questa regione del cervello ha un ruolo essenziale nel riuscire a controllare impulsi, pensieri e azioni, al fine di ottenere gli obiettivi prefissati, ma anche nella concentrazione e in altre abilità cognitivo-emotive. Un’area chiave, dunque, quando si deve portare a termine un compito, che si tratti di un lavoro mentale o fisico.

Quel filo che collega sforzo fisico e sforzo mentale

Lo studio suggerisce un collegamento fra sforzo fisico e sforzo mentale. “La corteccia prefrontale laterale – sottolinea Mathias Pessiglione, coautore dello studio – colpita dal sovraccarico da training sportivo è esattamente la stessa che in alcuni studi precedenti ha mostrato segni di cedimento in presenza di un lavoro cognitivo eccessivo”. Le ragioni alla base di questo collegamento si troverebbero nel fatto che sia lo sforzo fisico che quello mentale richiedono un controllo cognitivo. Quando si fa sport questo controllo serve ad esempio a mantenere la prestazione e a raggiungere gli obiettivi.

Troppo sport, attenzione alla fatica

Un aspetto interessante, poi, secondo gli autori, è che le nostre scelte, anche quelle finanziarie, cambiano a seconda del livello di stanchezza cerebrale in cui ci troviamo. Questo risultato suggerisce l’importanza di controllare il livello di fatica in situazioni in cui si devono prendere decisioni importanti, in ambito economico, giudiziario, politico, medico ed altro. I prossimi passi, inoltre, potrebbero riguardare la possibilità di trovare strategie per prevenire l’eccesso di fatica a livello neuronale e le sue conseguenze negative.

Riferimenti: Current Biology

1 commento

  1. Nessun allenatore, degno di questa qualifica, incrementerebbe del 40% un carico ad un atleta da un giorno all’altro, peraltro già formato, senza la necessaria gradualità; l’atleta rischierebbe lesioni fisiche, anche permanenti, a qualsiasi sistema; ovviamente anche il sistema nervoso, compreso il cervello ne risentirebbe pesantemente.
    L’allenamento è una condizione di stress a cui si sottopone il corpo, con lo scopo di accrescere la performance, ma che deve essere fornito GRADUALMENTE per potersi adeguare, secondo caratteristiche altamente soggettive. Non credo che il 40% si possa definire “graduale”.

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