È stato celebrato da Science come il traguardo scientifico dell’anno (vedi Galileo: La migliore scienza del 2014): stiamo ovviamente parlando dello sbarco sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko del lander Philae, parte della missione dell’Esa Rosetta. A poco più di due mesi dallo sbarco, arrivano i primi studi (sette, per la precisione, tutti riportate in un numero speciale di Science dedicato a Rosetta), ricavati da quei primissimi dati raccolti dal lander sulla superficie dalla cometa. E due di queste ricerche sono tutte italiane.
Nel primo di questi studi, Fabrizio Capaccioni e i suoi colleghi dell’Inaf hanno utilizzato lo spettrometro Virtis (Visible and Infrared Thermal Imaging Spectrometer) – a sua volta progettato e costruito in Italia specificatamente per la missione Rosetta – per mostrare come la superficie del nucleo di 67P sia ricoperta da composti contenenti carbonio: la bassa riflettività del nucleo sarebbe infatti compatibile con la presenza di minerali opachi associati con macromolecole organiche. La presenza di questi materiali suggerisce che il nucleo di 67P si sia formato in un ambiente a bassa temperatura a grande distanza dal Sole, in una zona compatibile con la fascia di Kuiper.
Sempre dall’Inaf Alessandra Rotundi e i suoi colleghi hanno studiato come, tramite la cattura e l’analisi dei granelli di polvere provenienti dalla cometa (grazie a Giada, Grain Impact Analyser and Dust Accumulator), si può capire meglio l’accrescimento del rapporto polvere/gas nella nebulosa solare, dove i pianeti del Sistema Solare iniziarono a formarsi 4,5 miliardi di anni fa.
La superficie della cometa è stata descritta con grande attenzione invece da Nicolas Thomas e dai suoi colleghi della University of Bern, che hanno usato i dati ottenuti da Osiris (Optical, Spectroscopic and Infrared Remote Imaging System), equipaggiato a bordo di Rosetta, per osservare e descrivere la superficie di 67P, su cui sono presenti delle strutture simili alle dune. I ricercatori hanno anche analizzato i numerosi processi di trasporto della polvere che hanno luogo su 67P e che danno origine a queste strutture.
Mentre Thomas e colleghi si concentravano sulla superficie, un team di ricercatori del Max-Planck-Institut fur Sonnensystemforschung, guidato da Holger Sierks, si occupava di studiare il nucleo di 67P, composto prevalentemente da polvere, roccia e gas congelati. Il loro studio mostra come esso sia formato da una struttura costituita da due lobi collegati da un collo sottile, con una densità inferiore a quella dell’acqua. Questi risultati suggeriscono una rimozione, in passato, di una grande quantità di materiali dalla cometa, forse in seguito a una collisione.
Le comete contengono infatti materiali che risalgono alla formazione del Sistema Planetario, nelle migliori condizioni in cui essi possono essere conservati. Le molecole contenute all’interno di nuclei e chiome forniscono informazioni preziosissime sulle condizioni fisiche e chimiche che sussistevano durante le prime fasi del nostro sistema planetario, quando hanno cominciato ad originarsi le comete.
Proprio per questo, Myrtha Hassig e il suo team della University of Bern si sono quindi occupati di studiare la composizione della chioma di 67P: al suo interno sono presenti movimenti di acqua, monossido di carbonio e anidride carbonica che rivelano complesse interazioni tra la chioma e il nucleo della cometa, probabilmente dovute dalle variazioni di temperatura che hanno luogo al di sotto della superficie di 67P.
E proprio di queste variazioni di temperatura si sono occupati Samuel Gulkis e i suoi colleghi del NASA Jet Propulsion Laboratory, che hanno analizzato i dati ottenuti da Miro (Microwave Instrument on the Rosetta Orbiter) per cercare di identificare degli andamenti giornalieri e stagionali nelle temperature presenti al di sotto della superficie di 67P. Essi hanno riportato la presenza di flussi di calore, collegati a loro volta alla sublimazione del ghiaccio e alla produzione di acqua sulla cometa, che varia periodicamente in base alla rotazione e alla forma del nucleo.
Infine, Hans Nilsoon e il suo team hanno tracciato la storia della presenza di ioni dell’acqua su 67P e hanno ipotizzato come da essi abbia avuto origine la magnetosfera della cometa: grazie alla sublimazione del ghiaccio in gas e alla loro ionizzazione, questi ioni diventano infatti in grado di deflettere il vento e le particelle solari.
Riferimenti: Science Rosetta Special Issue
Credits immagine: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA