Un ambiente da recuperare

Nessuna attività umana è sostenibile nel tempo se non è eco-compatibile. Gli effetti della gestione sconsiderata del territorio sono sotto gli occhi di tutti. Basta visitare le zone contaminate dagli scarichi industriali come gli ex siti Agip vicino Ravenna, o andare a Porto Marghera. Basta guardare il Po, in cui confluiscono le acque reflue della produttiva Milano o respirare l’aria delle nostre città. “Purtroppo la questione ambientale è spesso subordinata ad altre problematiche in grado di polarizzare l’opinione pubblica, come l’occupazione o l’economia”, commenta Roberto Danovaro, professore di biologia marina e ecologia applicata all’Università di Ancona e curatore di “Recupero ambientale. Tecnologie, bioremediation e biotecnologie” (Utet, 35,64 euro). Alla stesura del volume hanno partecipato diversi scienziati, ognuno contribuendo con la propria competenza specifica. Il risultato è un volume piuttosto tecnico ma estremamente interessante e accurato, che affronta la questione del recupero ambientale evidenziando il suo carattere multidisciplinare.

Professor Danovaro, sviluppo sostenibile e recupero ambientale: due temi piuttosto attuali…

“Più che attuali sono argomenti di cui si parlerà molto nei prossimi anni. Gli interventi di recupero ambientale sono ancora pochi, mi vengono in mente le aree di Bagnoli o del golfo di Taranto, ma nel futuro molti poli industriali in dismissione o le coste della nostra penisola, strette nell’abusivismo edilizio, potrebbero necessitare di interventi di questo tipo. Oggi la gente è disposta a pagare per raggiungere paradisi incontaminati, alla ricerca di naturalità. E’ una conseguenza del fatto che ci sono sempre meno spazi sani. Investire nel recupero ambientale può significare nuova occupazione ma anche la possibilità di aumentare il valore qualitativo dell’ambiente e quindi la sua fruibilità. Tutto questo però richiede una conversione delle competenze e dello sviluppo professionale”.

L’Italia è tra i 180 Paesi che dopo la Conferenza di Rio de Janeiro si sono impegnati a sostenere iniziative che seguono i principi dello sviluppo sostenibile. Le scelte politiche prese negli ultimi anni nel nostro Paese, vanno in questa direzione?

“Si sta andando verso l’adeguamento normativo. Ma non c’è alcuna apparente ripercussione sugli interventi reali. La questione centrale è che non si ha una visione univoca su come agire, in quanto esistono diversi tipi di interventi e diversi tipi di approcci”.

Nella prefazione al volume, lei sostiene che molti ambienti hanno ormai raggiunto il “carryng capacity”, ovvero il valore soglia oltre al quale il danno ambientale diviene irreversibile. Quali sono questi ambienti?

“Tutti gli ecosistemi urbani, se inquinano e consumano più di quanto sono in grado di rigenerare con le aree verdi presenti sul territorio sono a questo livello. Anche molti ambienti costieri stanno andando verso una situazione di questo tipo e non solo l’Adriatico. Mi riferisco a tutte quelle aree che periodicamente sono investite da un elevato carico di turisti che in breve tempo sono in grado di provocare danni irreversibili all’ambiente”.

Nella parte del libro che tratta l’inquinamento chimico, viene citato un rapporto dell’Ocse in cui si stima che ogni anno circa 1500 nuove sostanze chimiche vengono immesse nell’ambiente provocando spesso gravi squilibri nei vari ecosistemi. Ci possono essere anche ripercussioni sulla salute umana?

“Sicuramente. Non si può pensare che l’uomo sia scisso dalla condizione della salute ambientale. Se degenera una necessariamente degenera anche l’altra. Spesso molto prodotti vengono immessi sul mercato senza aspettare di valutare gli effetti a lungo termine e vengono ritirati solo dopo che se ne è accertata la tossicità o l’eventuale danno ambientale. Un classico esempio è quello del Ddt. Non bisogna poi sottovalutare gli effetti subdoli dei microinquinanti, quelle sostanze che non sono considerati inquinanti convenzionali, ma sostanze estranee rilasciate nell’ambiente a basse concentrazioni. L’esposizione cronica a queste sostanze è piuttosto preoccupante. Nei pesci e negli orsi polari sono in grado di alterare gli equilibri ormonali influenzando il loro potenziale riproduttivo. E quello che vale per l’orso, forse può valere anche per l’uomo”.

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