Categorie: Società

Un chip contro le fobie

Vi fareste rinchiudere in una cucina da soli con un ragno che fa capolino dalla sua bella ragnatela? Forse sì, se sapeste che si tratta di una finzione, di realtà virtuale. Sì, perché oltre a intrattenere i più giovani con i videogiochi la realtà virtuale è utilizzata sempre più spesso per curare traumi mentali e fobie. L’idea non è del tutto nuova: secondo la terapia convenzionale, lo psicologo chiede al paziente di immaginarsi faccia a faccia con le proprie paure. Con l’aiuto della computer graphics oggi si può fare un salto di qualità e “immergere” il paziente nella situazione che genera la fobia. La terapia è ancora in fase sperimentale, ma ha già dato i primi risultati positivi. I ricercatori del Veterans Administrations Medical Center per esempio stanno usando una simulazione tridimensionale chiamata Virtual Vietnam (http://www.virtuallybetter.com/virtual_vietnam_1.htm) per curare i traumi sofferti dai veterani di guerra. Secondo un primo studio 13 pazienti su 20 hanno affrontato con successo la terapia in meno di 20 sessioni.

Il connubio tra realtà virtuale e psicologia nasce nel 1995 quando Larry Hodges del Georgia Technology Institute, e Barbara Rothbaum, dell’Emory University School of Medicine pubblicarono sull’American Journal of Psychiatry uno studio condotto per curare l’acrofobia, ovvero la paura delle altezze. In quel caso furono utilizzati diversi ambienti virtuali, dal tipico ponte su un canyon al balcone in cima a un alto grattacielo. Da allora la sperimentazione si è diffusa, grazie anche al progressivo calo dei costi della sofisticata attrezzatura necessaria. Negli Stati Uniti varie aziende si sono buttate in questo campo realizzando programmi a scopo terapeutico: la Virtually Better per esempio fornisce l’aeroplano virtuale per chi teme di volare, l’audience virtuale per chi deve affrontare il pubblico. E ancora: la tempesta virtuale, l’ascensore virtuale e così via. Il paziente viene posizionato in piedi su una piattaforma e con un casco dotato di display tridimensionale e audio in stereo. Il display consiste di un monitor per ciascun occhio e dispone di un meccanismo in grado di registrare i movimenti degli occhi e del capo. I dati vengono trasferiti al computer che in questo modo fa scorrere le immagini in modo consistente coi movimenti della testa dell’utente.

A seconda dei casi vengono anche provocate sensazioni tattili: alcuni ricercatori della University of Washington hanno sviluppato una simulazione durante la quale il paziente ha l’illusione di essere in una cucina e di toccare una tarantola. Questo programma è usato per curare l’aracnofobia, ma anche per distrarre pazienti che devono subire una terapia fisica dolorosa. E sono in progetto altre simulazioni: per esempio, per alleviare le sofferenze di pazienti che hanno subito gravi ustioni si sta sperimentando un ambiente virtuale di ghiacci e neve.

Realtà virtuale dunque contro fobie e alleviare il dolore fisico, ma non solo: alla University of Southern California è stata creata una classe virtuale per curare l’Attention Deficit Disorder. Un gruppo di ricercatori diretto da Albert Rizzo ha condotto una prima sperimentazione con bambini tra i 6 e i 12 anni ottenendo risultati soddisfacenti. Un altro campo di applicazione è la riabilitazione di pazienti che hanno subito traumi cerebrali: all’University of Texas viene usata una cucina virtuale per far riprendere dimestichezza con certi compiti quotidiani come per esempio preparare una minestra.

In Italia queste tecniche sono in sperimentazione per curare disturbi alimentari: il progetto, chiamato Vrepar, è coordinato dall’Istituto auxologico italiano, sotto la direzione di Giuseppe Riva. Al paziente vengono mostrati cibi diversi ognuno col proprio apporto calorico. Una bilancia virtuale mostra i cambiamenti in peso a seconda del cibo scelto. Uno studio preliminare mostra un miglioramento significativo nell’apprezzamento del proprio aspetto fisico da parte dei soggetti esposti alla terapia.

“I vantaggi sono molti”, dice Page Anderson, una terapista che ha usato la realtà virtuale con più di cento pazienti, “l’analista detiene il controllo del grado di esposizione del paziente e in questo modo la terapia può essere resa più graduale. Inoltre il computer ci permette di registrare in ogni istante durante la simulazione i movimenti degli occhi del paziente e il suo battito cardiaco, dando così una misura oggettiva delle reazione fisiche”. Non mancano tuttavia le critiche: sono stati osservati in alcuni pazienti disturbi collaterali come nausea e vomito, probabilmente causati dall’illusione del movimento. E c’è anche chi teme ripercussioni negative su soggetti psicologicamente deboli non in grado di distinguere tra virtuale e reale.

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