Un manuale per vivere a rifiuti zero

Marinella Correggia
Zero rifiuti. Manuale di pratiche individuali e collettive per prevenire i rifiuti, cambiare la propria vita e l’economia
Altreconomia 2011, 104 pp, euro 5,00

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Fare il compost domestico, anche in forma ‘estrema’ dietro divani e poltrone, evitando però odori sgradevoli. Comprare cibo e prodotti spacchettati per eliminare gli imballaggi o al limite riutilizzarli, soprattutto il vetro, per marmellate e conserve fatte in casa. Preferire l’acqua e il latte alla spina, come anche i detersivi e i detergenti, e poi evitare bicchieri e piatti di plastica, ridurre al minimo l’uso di carta a casa e al lavoro, e bandire assolutamente i pannolini usa e getta. Non bisogna per forza essere dei ‘forzati’ dell’ambientalismo per mettere in pratica i consigli contenuti nel volume “Zero rifiuti” di Marinella Correggia, edito da Altreconomia nella colonna “Io lo so fare”. Un manuale di pratiche individuali e collettive, adatto a tutti, per evitare il problema monnezza a monte, prevenendo ogni genere di rifiuto. Perché, come spiega l’autrice, prevenire è meglio che smaltire.

L’approccio descritto nel libricino è quello della “prevenzione spinta”, che mira a ridurre il più possibile i materiali post-consumo riciclabili, insomma non mandare in discarica nulla, o quasi nulla. Anche perché, come spiega l’autrice, nessun ciclo dei rifiuti, per quanto virtuoso (con una raccolta davvero differenziata e il successivo riciclaggio dei materiali post consumo), riuscirà a cancellare l’enorme dispendio di materie prime, energia, acqua e rifiuti industriali previsto nel processo di produzione, distribuzione e consumo di prodotti e materiali. Quello della raccolta spinta, invece, oltre che uno stile di vita si propone come modello che costringe a ripensare e riprogettare l’economia in senso ecologico, e che permetterebbe di passare dagli oltre 540 chilogrammi annui di Rifiuti solidi urbani (Rsu) a testa prodotti in Italia, spesso nemmeno riciclati, a meno di 100, quasi tutti riciclabili con i metodi e le strutture esistenti. La prima capitale a far propria la strategia “Zero waste” è stata Camberra, seguita da molte città della Nuova Zelanda, degli Usa, dell’Australia. E da noi? Il primo comune ad adottare con una delibera consiliare la strategia “Rifiuti zero al 2020” è stato Capannori, 46 mila abitanti in provincia di Lucca: in tutto ora sono 25 le municipalità che hanno dichiarato guerra ai rifiuti, tra questi Carbonia, Forte dei Marmi, Aviano, Sasso Marconi. Inoltre, sempre a Capannori è nato il Centro di ricerche Rifiuti Zero, il primo in Europa, che monitora e studia il rifiuto urbano residuo come si presenta dopo le raccolte porta a porta per inviare al mondo della produzione utili suggerimenti per la riprogettazione di ciò che non è riciclabile o compostabile.

Ma veniamo a cosa può fare un comune cittadino per prevenire la formazione dei rifiuti. Dai consigli per evitare lo spreco di cibo e gli imballaggi alle tecniche per compostare, fino agli acquisti di beni durevoli, ce n’è per tutti i gusti. Si parte con il rifiuto organico-alimentare: meno scarti si fanno e meno c’è da compostare, quindi è importante comprare materiali di buona qualità che durino nel tempo, imparare a cucinare gli avanzi e riusare l’olio delle conserve. Per ottenere un buon compost, poi, si può ricorrere alla fermentazione bokashi, che si avvale dell’aiuto di potenti anaerobici che accelerano la decomposizione e permettono un arricchimento del prodotto di partenza. Il materiale fermentato in questo modo si trasforma in un terriccio adatto alle piante già dopo 3-4 settimane. Sul fronte degli imballaggi, invece, bisogna evitare gli alimenti pronti e le vaschette usa e getta e comprare materie prime secche e ortofrutta imballata solo nella sua buccia; utilizzare imballaggi andata e ritorno e il vuoto a rendere, sostituire i barattoli con le conserve autoprodotte nei barattoli di vetro riutilizzati; sfornare pane, torte e biscotti fatti in casa e se avete un cane o un gatto è più ecologico acquistare gli scarti da macellai e pescherie piuttosto che le scatolette. Contro la dispersione nell’ambiente di detersivi e detergenti vari, poi, meglio tornare ai vecchi metodi delle nonne: sapone universale marsiglia, aceto di vino o di mele per sgrassare e lucidare, l’acqua di cottura della pasta per lavare i piatti mentre per deodorare si consigliano le cartine di Armenia, che bruciate sprigionano profumo d’altri tempi. Per la cura del corpo ci sono tante sostanze da cui si possono ricavare shampoo fatto in casa, detergenti e saponette, oppure acquistare i prodotti sfusi o alla spina, per struccarsi usare delle stoffe lavabili mentre per il bebè bastano una ventina di pannolini lavabili di cotone per coprire gli anni pre-vasino, con un vantaggio anche per il portafogli.

Il volume contiene anche l’indicazione delle eco strutture che le istituzioni dovrebbero promuovere e che i cittadini dovrebbero frequentare più spesso: i negozi leggeri, a imballo e chilometro zero, dove tutto (biscotti e farine, legumi e cereali, saponi, olio e vino) scende da un dispenser; i transition shops, quei punti vendita che studiano accorgimenti per ridurre la produzione di rifiuti; gli eco uffici, che fanno acquisti verdi di carta e materiali riciclati, cancelleria eco, toner rigenerati e prodotti elettronici a basso consumo, mense e coffee corner sostenibili; le eco-scuole, che hanno l’orto e la compostiera, fanno prevenzione dei rifiuti e hanno bandito le macchinette distributrici di bevande e merendine; le eco-mense, dove non si usano posate e piatti di plastica, l’acqua è rigorosamente in caraffa e i pasti avanzati vanno in beneficienza. E poi ancora i Gruppi di acquisto solidali (Gas), i centri per il riuso e lo scambio, le case dell’acqua e le fontane pubbliche, gli eco alberghi e le feste e i raduno sostenibili. Il libro si chiude con le testimonianze dei cittadini che hanno partecipato all’esperimento “Spazzini di noi stessi”, condotto per un mese nei contesti urbani più diversi: buone pratiche di ri-uso e di attenzione agli scarti prodotti, pesati e minuziosamente descritti, che possono spingere altre persone ad abbracciare la causa dei ‘rifiuti zero’.

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