Un mondo dentro l’ombelico

Ce lo portiamo dietro da quando siamo nati, ricordo del legame che ci univa, fisicamente parlando, alla mamma. L’ ombelico, la cicatrice lasciata dalla recisione del cordone ombelicale, è ancora oggi per lo più un mistero, microbiologicamente parlando. Già, perché ognuno di noi ha, proprio lì, un mondo intero di microrganismi che variano da un individuo all’altro. Ma cosa determina la presenza di una determinata popolazione di batteri, e perché ogni ombelico è diverso? Per rispondere a queste domande è nato Belly Button 2.0, un progetto dedicato proprio a studiare la biodiversità degli ombelichi.

In realtà, come racconta su Scientific American Rob Dunn, scrittore e biologo alla North Carolina State University, il progetto era nato con mire meno pretenziose. Voleva essere solo un modo con cui andare a caccia delle forme di vita ospitate nell’ombelico, realizzando un esperimento scientifico che potesse riguardare anche il vasto pubblico, visto che si tratta del corpo umano, e di una parte di esso ammantata di mistero, spesso guardata con pudore, a volte abbellita dai piercing. L’intento insomma era quello di realizzare una sorta di catalogo visivo per mostrare alle persone la faccia dei microbi(coltivati poi in laboratorio, qui alcuni esempi) che vivevano nel loro ombelico. Ma i primi risultati hanno spostato l’attenzione e allargato il progetto iniziale.

Gli scienziati infatti hanno scoperto quasi da subito che esiste una notevole biodiversità  in questa zona del corpo, accentuata ancora di più quando le specie sono analizzate sotto il profilo molecolare, come hanno fatto alcuni scienziati del progetto, tra cui Noah Fierer della University of Colorado Boulder. Questo ha aperto la strada a uno studio più approfondito, volto a indagare i motivi che spiegassero il come e perché di tutta la diversità osservata.

Per capirlo i ricercatori hanno prima di tutto esteso il loro campione, osservando che sebbene in media ognuno ospiti circa una cinquantina di specie, il numero di quelle totali cresceva all’aumentare delle persone incluse nell’analisi, superando il migliaio in totale. Tra queste alcune sono molto comuni, sia nella frequenza che nel numero, mentre altre sono piuttosto rare (la maggior parte).  Le specie più comuni (quelle appartenenti ai gruppi degli Staphylococci, dei Corynebacteria, degli Actinobacteria, dei Clostridiales, e dei Bacilli) inoltre presentano una particolarità: mentre in genere, per la maggior parte dei casi, i microbi trovati sembrano provenire da tutti i rami dell’albero evolutivo dei batteri, quelli più diffusi vengono fatti risalire solo a un numero ristretto di ceppi, quelli più adattati a vivere in ambienti aridi in particolare.

Nell’ articolo pubblicato su Plos One in cui i ricercatori mostrano i propri risultati (ottenuti dall’analisi di una sessantina di partecipanti) raccontano anche come in una sola persona siano stati ritrovate due specie appartenenti agli archeobatteri. Visto che la persona in questione ha dichiarato di aver a lungo trascurato l’igiene del proprio ombelico, per gli esperti si tratta di un caso interessante, perché suggerisce che i microbiomi di qualche tempo fa, quando bagni e docce nella popolazione erano meno frequenti, dovessero essere simili a quanto osservato nel partecipante. Questo inoltre indica che almeno un fattore, l’ igiene, influenzerebbe le popolazioni di microbi presenti nell’ombelico.

Ma né la presenza di specie più abbondanti né di quelle correlate alle pratiche igieniche sono sufficienti a prevedere la composizione totale del microbioma di ogni essere umano nell’ombelico: ognuno ha il suo caratteristico. E si può solo ipotizzare che sia il sesso, l’età, il modo in cui si è venuti al mondo, la città e il clima in cui si vive, l’avere o meno un cane, a incidere nella composizione di questo particolare microbioma. Un modo per scoprire se qualcuno di questi fattori sia determinante potrebbe essere per esempio quello di analizzare i legami tra stili di vita e composizione batterica del proprio ombelico, in cerca di qualche correlazione.

Il lavoro della biomatematica della North Carolina State University Mandi Traud si inserisce proprio in quest’ottica, cercando di studiare i dati acquisiti dalle analisi per raggruppare le persone in diverse categorie a seconda delle specie ospitate nel loro ombelico. Ma una prima revisione delle variabili prese in considerazione ha fallito nell’intento: né il sesso, né l’età né gli altri parametri sembrano spiegare la composizione del microbioma ombelicale. Forse, si augurano gli scienziati, estendendo ancora il campione a circa 600 partecipanti, come hanno in progetto di fare, il mistero della biodiversità dell’ombelico potrà essere chiarito. Per ora, come riporta Belly Button 2.0, sono circa 500 gli aderenti al progetto.

Meno misterioso invece sembrerebbe essere il perché di tutti questi inquilini diffusi sulla nostra pelle, scrive Dunn: a quanto pare servirebbero come meccanismi di difesa contro alcuni patogeni e come sistema di prevenzione delle allergie.

Via: Wired.it

Credits immagine: Zellaby/Flickr

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