Un’idea in fondo al mare

Prima li nutre e poi ne avvelena la prole. Non si tratta di uno spietato serial killer metropolitano, ma di un diffuso vegetale marino: la diatomea. Quest’alga monocellulare è una delle costituenti del fitoplancton e fino a oggi era ritenuta uno degli alimenti ideali alla base della catena alimentare. Infatti essa costituisce la dieta principale dello zooplancton, a sua volta cibo per altri organismi superiori. E invece, proprio la diatomea è la causa principale della moria di uova di copopedi, i minuscoli animali marini dello zooplancton che se ne cibano. A sostenerlo in un lavoro pubblicato su Nature è un’équipe di biologi dell’Università di Napoli, del Cnr di Avellino e del Laboratorio di biologia marina di Trieste. Che però avanza anche un’ipotesi sorprendente: proprio per i suoi effetti letali, la diatomea potrebbe rivelarsi preziosa per il trattamento del cancro mediante l’inibizione della crescita cellulare.

Cinque anni fa, nelle acque dell’Adriatico i ricercatori avevano notato che, in corrispondenza della fioritura di alghe ricche di diatomee, aumentava sensibilmente la produzione di uova di diverse specie di copepodi, come l’”Acartia clausi” e la “Calanus helgoandicus”. Subito dopo, però, le analisi sullo zooplancton rivelavano un calo improvviso nella natalità dei microrganismi. Questo fenomeno ciclico, riscontrato anche in altre aree dell’oceano, era stato inizialmente attribuito alla presenza di virus e di parassiti, perché non si poteva immaginare che un ottimo alimento – le diatomee appunto – potesse avere effetti così deleteri sulla riproduzione.

“Tuttavia notavamo che dopo cinque-dieci giorni i copepodi alimentati con le diatomee cominciavano a produrre uova non vitali”, racconta Antonio Miralto della stazione zoologica “Anton Dohrn” di Napoli. “In un primo momento abbiamo pensato che dipendesse da un problema di contenuto proteico o dalla mancanza di qualche vitamina”. Ma confrontando i componenti delle diatomee con quelli di altre microalghe, come i dinoflagellati, i biologi si sono resi conto che la differenza non era sufficiente a giustificare un evento così drammatico. “La mortalità delle uova”, prosegue Miralto, “non dipendeva infatti da una deficienza vitaminica o di qualche acido grasso, ma dalla presenza di un elemento in più: un potente antimicotico che inibiva il processo di sviluppo embrionale causando una serie di aberrazioni nella divisione anticellulare”.

Le analisi di laboratorio effettuate su differenti specie di diatomee, la “Thalassiosira rotula”, la “Skeletonema costatum” e la “Pseudo-nitzschia delicatissima”, hanno infatti evidenziavano la presenza di tre componenti anti-proliferative: le cosiddette aldeidi A-1, A-2 e A-3. Queste molecole organiche, presenti anche in altri vegetali, sono sostanze altamente insature e chimicamente molto reattive. Esse attaccano il citoscheletro, una struttura di sostegno della cellula, e impediscono la formazione del flusso mitotico, una delle fasi fondamentali della divisione cellulare. Risultato: la crescita cellulare viene interrotta. I successivi esperimenti condotti su tessuti organici come le uova di riccio marino hanno confermato gli effetti deleteri delle aldeidi nello sviluppo cellulare. Ma non è tutto: anche la crescita di cellule del colon affette da carcinoma veniva bloccata dalle aldeidi. Di qui, le speranze per un possibile progresso nella lotta ai tumori.

Ma parlare di una nuova cura contro il cancro è ancora prematuro. Miralto è cauto: “Finora gli esami hanno dimostrato l’efficacia delle aldeidi come inibitori della crescita delle cellule tumorali del colon, ma non ne abbiamo ancora testato la tossicità. Né siamo in grado di individuare un composto specifico per le cellule umane affette da carcinoma del colon. Ma potrebbe essere una strada e i prossimi studi sugli organismi marini potrebbero rivelarsi cruciali”.

Il fenomeno della mortalità delle uova causato dalle diatomee, comunque, rappresenta un nuovo caso di autoregolazione nella dinamica delle popolazioni marine. Durante le fioriture stagionali, infatti, si verificano concentrazioni altissime di diatomee e i copepodi hanno a disposizione un’enorme quantità di cibo. Se le aldeidi non svolgessero la loro azione distruttrice, nei mesi successivi alla fioritura, il nutrimento non sarebbe sufficiente a soddisfare una popolazione così numerosa.

“Questo fenomeno”, conclude Miralto, “va tenuto sotto osservazione perché i cambiamenti ambientali potrebbero creare squilibri in questo ciclo biologico, con effetti negativi sulla produzione di fitoplancton e, di conseguenza, sul resto della catena alimentare marina”.

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