Varsavia, un nuovo accordo sul clima?

A quanto pare, i dibattiti sul cambiamento climatico sono tutt’altro che conclusi. Specie dopo la pubblicazione del rapporto dell’Ipcc, le nuove ipotesi sul riscaldamento globale e il devastante super-tifone Haiyan. Come racconta Jeff Tollefson sulle pagine di Nature, infatti, i climatologi di tutto il mondo sono nuovamente a lavoro per tracciare una serie di linee guida che, auspicabilmente, porteranno alla ratificazione di un nuovo trattato, da siglare a Parigi nel giro di due anni. I delegati di 195 nazioni stanno cercando di ottenere dai governi l’impegno formale a limitare l’emissione di gas serra entro il 2020. Purtroppo, il cammino verso l’accordo è ancora irto di controversie tra paesi ricchi e paesi poveri, soprattutto in merito ai finanziamenti e alle modalità di imposizione delle restrizioni.

Parigi 2015 dovrebbe seguire la strada già delineata a Copenhagen nel 2009, quando le nazioni concordarono una serie di impegni non vincolanti – il cosiddetto Accordo di Copenhagen – per la riduzione delle emissioni entro il 2020. L’accordo assottigliò molto la distinzione tra paesi sviluppati, già vincolati dal Protocollo di Kyoto, e paesi in via di sviluppo, che fino ad allora non avevano alcun obbligo formale. Da allora, i negoziatori internazionali hanno lavorato senza sosta all’elaborazione di un nuovo framework che avrebbe coinvolto tutte le nazioni, compresa la Cina, che attualmente è il più grande emettitore mondiale di gas serra, e gli Stati Uniti, che non hanno mai ratificato il Protocollo di Kyoto.

I climatologi stanno lavorando su due fronti. Il primo riguarda l’architettura di un trattato globale che entrerebbe in vigore dopo il 2020, una volta scaduti gli impegni presi a Copenhagen. L’altro esamina in che modo è possibile rafforzare i provvedimenti pre-2020 per rendere più concreta la possibilità di limitare il riscaldamento globale entro i due gradi centigradi in più rispetto alle temperature pre-industriali. L’Unione Europea, per esempio, ha proposto un processo a più stadi, che prevede per l’anno prossimo la registrazione di impegni individuali da parte delle nazioni, da sottoporre poi alla valutazione di un panel internazionale e indipendente. Se accettati, tali impegni sarebbero poi ratificati a Parigi nel 2015: in questo modo, l’Ue spera di spronare i paesi con obiettivi meno ambiziosi a fare di più per evitare di essere svergognati davanti al resto della comunità internazionale.

Quanto costerà tutto ciò? La questione economica è, in effetti, la più delicata. A Copenhagen, le nazioni sviluppate si erano impegnate a sovvenzionare la riduzione delle emissioni per 30 miliardi di dollari tra il 2010 e il 2012 (obiettivo raggiunto) e ad aumentare il supporto ai paesi in via di sviluppo fino a 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020. Per quest’ultimo punto non c’è ancora un piano economico chiaro, ed è qui che si stanno concentrando le richieste di paesi come Brasile e Cina. I negoziatori, dal canto loro, hanno creato organizzazioni come la Green Climate Found, con sede a Incheon, Corea del Sud, che si dovrebbero occupare proprio del finanziamento e della distribuzione degli aiuti climatici. Secondo Delia Villagrasa, consulente della European Climate Foundation di Bruxelles, alla fine dei colloqui di Varsavia il quadro dovrebbe essere più chiaro: “Varsavia porterà importanti chiarificazioni sulla struttura dei nuovi accordi”, spiega. “Capiamo che non sembra molto appetibile dal punto di vista mediatico, ma è molto importante”.

Via: Wired.it

Credits immagine: ecstaticist/Flickr

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