Venere vulcanica

Che ci fossero numerosi vulcani sul pianeta Venere, gli astronomi lo sapevano già da qualche anno. Quello che ignoravano, e che ha rivelato loro lo spettrometro italiano Virtis, è che questi vulcani potrebbero essere ancora attivi.  Secondo i dati raccolti da Virtis (Visible and InfraRed Thermal Imaging Spectrometer, vedi Galileo) e pubblicati su Science, infatti, il vulcanismo di Venere è un fenomeno geologicamente recente che anzi potrebbe essere ancor in corso.

Lo strumento, sviluppato dagli scienziati dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e ospitato a bordo della sonda Venus Express dell’Agenzia Spaziale Europea, ha rilevato tracce di colate laviche recenti, avvenute, nella più cauta delle ipotesi, almeno due milioni e mezzo di anni fa. “Il che, dal punto di vista geologico, vuol dire praticamente ieri”, ha spiegato Giuseppe Piccioni, capo progetto di Virtis. “Secondo stime più ottimistiche, le colate risalgono a centinaia o migliaia di anni fa. È dunque probabile che si tratti di vulcani attivi ancora oggi”, ha aggiunto il ricercatore. Secondo Piccioni, si tratta di una scoperta determinante, visto che il vulcanismo di Venere è sempre stato inteso come un fenomeno catastrofico risalente a circa 500 milioni di anni fa. L’osservazione di colate laviche recenti, invece, dimostra che su Venere hanno luogo dei fenomeni geologici molto più simili a quelli della Terra di quanto non si pensasse in precedenza.

Grazie a Virtis, sviluppato dagli scienziati dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e realizzato dalla Selex Galileo, gli scienziati hanno scandagliato tre delle nove “zone calde” (hot-spot)  individuate sulla superficie di Venere dalla precedente missione Magellan della Nasa. Queste zone, localizzate nell’emisfero Sud del pianeta, mostrano pennacchi di magma che con tutta probabilità sono il prodotto di imponenti eruzioni vulcaniche. “In pratica sono dei vulcani uno vicino all’altro, simili alle Hawaii”, ha spiegato Piccioni.

Su questa superficie i ricercatori sono riusciti a identificare tracce di rocce “giovani” in alcune colate laviche. Tutto grazie ai colori rilevati dallo spettrometro, in grado di individuare e registrare ben 864 colori con lunghezze d’onda diverse. “Quando avviene una colata, il colore è molto scuro. Con il passare del tempo, a causa dei processi chimici, la lava tende a diventare più chiara. A seconda di quanto si schiarisce, è possibile risalire al periodo in cui si è verificata l’eruzione”, ha spiegato l’astrofisico. “In questo caso – ha aggiunto – le rocce sono molto scure ed emettono una luce infrarossa  notevolmente maggiore rispetto a quelle che si sono formate in ere precedenti. Dai dati raccolti è stato valutato che queste colate devono essersi prodotte in tempi recenti. Questo fa sospettare che il pianeta possa essere ancora oggi geologicamente attivo in maniera del tutto simile alla Terra”.

Per  Sue Smrekarì del NASA-JPL di Pasadena (California), primo autore dell’articolo pubblicato su Science, la scoperta apre nuove strade nella comprensione dell’evoluzione del clima e della struttura interna di Venere. Grazie alle rilevazioni di Virtis, in particolare, sarà possibile studiare con accuratezza la superficie del pianeta e la sua atmosfera, potendone determinare la composizione chimica e la dinamica delle correnti. “Il prossimo passo”, ha concluso Piccioni, “sarà ricavare una mappatura dei vulcani dell’emisfero Nord. Se anche lì l’attività vulcanica dovesse risultare così recente, aumenterebbero le somiglianze con il funzionamento geologico della Terra. Stiamo scoprendo che il nostro gemello bollente, con temperature di superficie di circa 450°, in realtà ci somiglia molto più di quanto ci saremmo mai aspettati”.

Riferimenti: Science DOI: 10.1126/science.1186785

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