Venezia contro le dighe

Ancora una fumata nera e un ennesimo rinvio, che però assomiglia molto a un ultimatum. È finita così, martedì scorso, la riunione romana del Comitato di indirizzo, coordinamento e controllo (per tutti “Comitatone”) incaricato di seguire la realizzazione del discusso progetto Mose, il sistema di 79 dighe mobili che dovrebbe arginare il problema dell’acqua alta nel capoluogo veneto. Dopo un dibattito lungo quasi 20 anni, il progetto definitivo era stato approvato nel novembre scorso dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, e successivamente il Comitato Interministeriale di Programmazione Economica (Cipe) aveva sbloccato la prima tranche di finanziamento. I lavori, dunque (la cui durata prevista è di otto anni, per un costo di circa tre milioni di euro) sarebbero dovuti iniziare a breve. Peccato però che un contenzioso sempre più aspro abbia diviso il governo e la giunta regionale del Veneto dai comuni di Venezia, Cavallino e Chioggia, ancora non convinti del progetto e preoccupati per il suo possibile impatto ambientale.

Nei giorni precedenti il 25 febbraio, giorno fissato per l’acquisizione del giudizio formale dei comuni sul progetto, parere richiesto dalla legge anche se non vincolante, il sindaco di Venezia Paolo Costa aveva annunciato che sarebbe andato a Roma non per esprimere un’opinione ma per chiedere la completa revisione del Mose. Un nuovo studio delle acque, richiesto dallo stesso comune al magistrato, aveva infatti concluso che alcuni interventi complementari, più limitati e realizzabili in tempi più brevi, come l’innalzamento dei fondali nelle bocche di porto o il restringimento delle bocche stesse, avrebbero portato a una riduzione di marea fino a 13 centimetri. Costa chiedeva dunque la preparazione di un nuovo progetto che comprendesse questi interventi e ridimensionasse il ruolo delle dighe mobili. Una richiesta che a molti è sembrata incomprensibile visto l’altrettanto pericoloso impatto ambientale che gli accorgimenti di Costa avrebbero sulla laguna. A pensarla così, tra gli altri, c’è Miroslav Gacic dell’Istituto Nazionale di Oceanologia e Geofisica Sperimentale di Trieste. Gacic e i suoi collaboratori stanno studiando da tempo i flussi di marea tra la laguna e il mare Adriatico proprio allo scopo di valutare l’impatto che la chiusura periodica delle dighe potrebbe avere. Dopo aver pubblicato alcuni risultati preliminari nel maggio dello scorso anno sulla rivista Eos, si apprestano nei prossimi mesi a rendere noti quelli definitivi. “I risultati dovrebbero confermare quello che già avevamo ipotizzato: la laguna pompa fuori acqua e la risucchia dentro al ritmo di circa diecimila metri cubi al secondo, e quella che risucchia non è la stessa acqua”. Questo significa che tutta l’acqua della laguna viene ricambiata nel giro di un giorno, e la chiusura delle paratie mobili, anche per periodi relativamente lunghi, non avrebbe effetti drammatici. “Al contrario”, osserva Gacic, “il restringimento dei canali o l’innalzamento dei fondali potrebbero alterare i flussi d’acqua in modo permanente, con inevitabili conseguenze sull’ecosistema”.

Un parere che contraddirebbe quello espresso negli ultimi 20 anni dagli ambientalisti. Il Mose (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), infatti, è un imponente sistema di dighe mobili, ciascuna dell’altezza di circa 30 metri e dello spessore di circa cinque, posizionate alle tre principali bocche della laguna di Venezia. Secondo il progetto i pannelli dovrebbero rimanere sul fondo della laguna in condizioni normali, ma verrebbero sollevati in caso di maree particolarmente alte, creando così una barriera contro le acque e impedendo l’allagamento della città. Ed è proprio la chiusura della laguna e quindi l’interruzione del ricambio delle sue acque a preoccupare gli ecologisti. Che ritengono il Mose una minaccia tanto per l’ecosistema quanto per la città, i cui canali non sarebbero più ripuliti dalle maree.

A questo punto per sapere come finirà la vicenda Mose bisognerà aspettare un mese. È infatti questo il tempo che il governo ha dato ai tre comuni veneti per completare la propria valutazione sul progetto. Una valutazione, ha ribadito il ministro del Lavori Pubblici Pietro Lunardi, che può essere solo amministrativa, e non tecnica. Le parti si incontreranno quindi ancora il 27 marzo, e se in quella data il parere non arriverà, il progetto andrà avanti senza l’approvazione dei comuni. Si è consumato così l’ennesimo capitolo del travagliato iter di questa colossale opera pubblica, seconda solo al Ponte sullo Stretto di Messina per le polemiche che ha suscitato nel corso di quasi 20 anni.

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