Verso la seconda Guerra fredda?

Potevamo forse sapere che la Nato avrebbe messo in atto un’espansione verso Est, fino agli antichi confini dell’Europa, i confini del 395 e del 1054 d.C., dello scisma tra l’Europa Cattolico-Protestante e quella ortodossa, e i confini delle crociate del 1095 contro il mondo arabo?(1). Forse no. Ma, per le ragioni riportate in questo articolo, non c’è da sorprendersi che ci siano state manovre in quella direzione, anche se non lo potevamo sapere con certezza. La questione è importante perché se lo avessimo saputo in anticipo, avremmo potuto mobilitare molte più forze per fermare o rallentare tale manovra, che ha un peso addirittura maggiore della fine della prima Guerra fredda. In effetti, la decisione di espandere la Nato verso Est potrebbe retrospettivamente far apparire addirittura brillante il trattato di Versailles del 1919, con la seconda guerra mondiale alle porte.

Per raccontare questa storia è necessario un discorso preliminare. Dobbiamo scegliere delle unità e delle variabili. Le variabili sono abbastanza semplici: fattori politici, militari, economici e culturali, e per tutte, quella variabile fondamentale in qualsiasi analisi sociologica: il tempo, la storia, includendo anche la storia probabile del futuro. Anche le unità sono semplici e sono quattro: gli Stati Uniti, l’Europa occidentale, l’Europa dell’est e la Russia. Tuttavia, giungeremo presto alla conclusione che questa è una decisione che ha cause di carattere globale, e conseguenze che vanno ben al di là dell’ambito consueto della dinamica Nato – trattato di Varsavia. L’America Latina e l’Africa potrebbero essere meno coinvolte, ma lo saranno l’intera regione euroasiatica, fino all’Asia e al Pacifico, inclusi India, Cina, Giappone e la maggior parte del mondo arabo. E’ in gioco molto più del destino dell’Europa dell’est, nel momento in cui la più grande alleanza nella storia dell’umanità va verso l’Oriente.

L’espansione della Nato vista dagli Stati Uniti: una strategia globale

Innanzitutto, bisogna notare che i discorsi che tentano di cogliere il senso dell’espansione della Nato tendono ad essere euro- o atlantico-centrici; in altre parole, fuorvianti sin dall’inizio. Basta un pizzico di prospettiva globale per comprendere il punto di vista di Washington: i confini degli Stati Uniti su due oceani, non uno solo, cosicché gli Usa promuavono non soltanto una strategia per l’Europa e l’Atlantico, ma anche per l’Asia e il Pacifico. L’alleato strategico numero uno in Asia e nel Pacifico è il Giappone, con il trattato Ampo. In corrispondenza dell’espansione della Nato verso est esiste adesso un’espansione dell’Ampo verso ovest, sia in termini della definizione del teatro degli accordi tra il Giappone e gli Stati Uniti, sia riguardo agli obiettivi di questi accordi. Per questo motivo possiamo parlare di una manovra a tenaglia coordinata verso l’Eurasia e in particolare verso la Russia e la Cina.

Questa manovra a tenaglia dovrebbe essere vista alla luce dell’importante piano JCS 570/2 del Joint Chief of Staffs (JCS), richiesto da Roosevelt a proposito degli obiettivi della guerra, e alla luce del piano di base per la guerra fredda, l’NSC 68 (2). Il mondo è diviso in due zone che gli Stati Uniti controllano direttamente e indirettamente, attraverso alleanze e accordi di base, o che ignorano perché non interessanti o nemiche. In altre parole, l’espansione non è necessariamente nuova, ma lo è invece la messa in atto, al momento opportuno, di vecchi piani, come il JSC 570/2, vecchio di più di cinquant’anni.

Non c’è dubbio che le élites statunitensi, e forse la stessa popolazione americana, vedono l’implementazione come non problematica, salvo forse che per motivi economici. Considerando gli Stati Uniti come la “prima nazione moderna”, un concentrato del messaggio occidentale (politica e economia liberali, democrazia e il libero mercato, privato e globale), si può dire che stiano mettendo in atto proprio questo messaggio. Un destino che si è manifestato sul territorio che poi diventò i cinquanta Stati, nell’emisfero occidentale, nel mondo intero. (3). Come disse un presidente del JCS, Colin Powell, quando, ancora candidato alla presidenza, parlò a Washington nell’agosto del 1995: “L’America è stata creata dalla divina provvidenza per guidare il mondo”. (4) L’applauso fragoroso fu il messaggio.

Ma, gli altri Stati, élites e popolazioni comprese, sono d’accordo? Probabilmente in gran parte sì. Gli Stati Uniti sono al culmine della loro potenza, e non sono in grado di frenare la smania di continuare nell’ascesa. Il resto del mondo sta a guardare l’unica superpotenza. (5) Per essere un membro di un club come la Nato, con un presidente degli Stati Uniti indiscusso, è un po’ prendere parte all’incanto. Il contratto “Vi proteggerò fin quando non mi colpirete, e la mia lettura del mondo” (6) suona come una piccola ubbidienza in cambio di molta protezione, in altre parole come un affare. Tutto quello che l’obbedienza richiede per trasformarsi in accordo e l’accordo in entusiasmo è l’essere filo-americani secondo il senso più comune: emarginando, e persino escludendo, tutti gli anti-americani. Per questo motivo, ai negoziati gli Stati Uniti siedono da entrambe le parti del tavolo.

Dal 1945 gli Stati Uniti non avevano mai ricevuto un’ondata di consensi tale da consentire la propria espansione militare. Hanno scelto bene il momento per questa doppia espansione. Sanno quello che fanno.

Tuttavia, per capire il messaggio dobbiamo guardare più da vicino chi sono gli inclusi e chi gli esclusi; a cominciare questi ultimi. Nel teatro europeo l’espansione della Nato finora non include alcun paese slavo-ortodosso in generale né la Russia in particolare; nel teatro asiatico-pacifico la Cina non è inclusa; in nessuno dei due scenari sono inclusi paesi arabi. La Turchia è uno dei membri, intesa come Turchia militare, il fedele bastione della tradizione secolare di Ataturk. L’Albania e la Bosnia non sono su alcuna lista di candidati. I potenziali nemici sono rappresentati dall’espansione verso i confini della Russia, della Cina e dell’Islam, ma non oltre. I primi sono abbastanza grandi per essere considerati dei nemici, l’uno per via del suo arsenale nucleare, l’altro per il suo esercito. Ma in più esiste il mondo arabo, cui appartengono quelli che gli Stati Uniti considerano gli “Stati furfanti” (Libia, Siria, Iraq e Iran) e ai quali attribuiscono lo status di “paria” nel sistema mondiale.

Il messaggio è ovvio: si suppone che ogni grande potenza sia gelosa di ogni altra grande potenza. Poiché gli Stati Uniti nascono come uno stato cristiano fondamentalista, si può pensare ad uno scisma cristiani/musulmani. Da un lato, il regno delle scienze politiche, dall’altro, quello della teologia. Gli Usa, la Russia, la Cina puntano all’egemonia mondiale, e così il mondo cristiano e l’Islam. Ma solo uno può essere il numero uno.

Realpolitik? Sì, probabilmente, ma una diagnosi migliore potrebbe essere quella di paranoia megalomane che si autoalimenta. Definire un altro paese o religione come un nemico significa far sì che esso mobiliti le sue energie e inclinazioni in quella direzione, e diventi effettivamente nemico. Sedersi, dialogare, individuare quali sono i problemi significa probabilmente trovare un alleato. Forse non si tratta di Realpolitik, ma di qualcosa di meglio: una politica realista. Ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con l’espansione.

Diamo allora uno sguardo più attento a chi è incluso, per tornare all’importante problema della sicurezza dei paesi dell’Europa dell’est più avanti. Ma sono poche le mosse politiche fatte con un solo un motivo in mente.

Includendo i paesi dell’ex Trattato di Varsavia nella Nato gli Usa proclamano al mondo, e a loro stessi, chi ha vinto la Guerra fredda. Infatti, in che cosa consiste vincere una guerra se non nel muovere dei soldati, e più in particolare occupare le basi e i quartieri generali un tempo occupati da altri, fino all’ultima caserma, bunker, sito logistico? Immaginate la reazione se il Trattato di Varsavia non fosse stato sciolto ma fosse pronto a ricevere iscrizioni, se i vecchi membri confermassero la loro appartenenza e alcuni nuovi membri si unissero a loro, come i paesi neutri-non-allineati. Oggi solo gli Usa-Nato sono nella posizione per giocare questo gioco. Ciò che è accaduto realmente nel 1898-91, il dissolvimento del Trattato di Varsavia, dell’Unione Sovietica e persino del comunismo in se stesso, è il risultato di una erosione morale piuttosto che di una pressione economico/militare, che ha preso gli Stati Uniti di sorpresa così come molti altri. L’allargamento della Nato verso est si è rivelato una specie di conquista, e ha risposto alla domanda “chi ha vinto”.

Ma ci sono anche ragioni inerenti alla Guerra fredda in sé, non solo alla sua fine. Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria sfidarono (insieme alla Germania dell’est) (nel 1956/1980, 1968 e 1956) l’occupazione Sovietica dovuta de facto alla Guerra Fredda, e il partito Comunista attraverso il quale l’occupazione era avvenuta. L’inclusione della Nato porta con sé anche un elemento di ricompensa. La resistenza del Baltico venne dopo, ma sarebbe stata probabilmente impossibile prima del 1989. La resistenza della Romania non fu portata avanti dalla gente ma da un leader disprezzato, e solo contro l’Unione Sovietica (Nicolae Ceaucescu e prima di lui Gheorghiu-Dej). La resistenza bulgara fu nulla. Quella slovacca fu ambigua.

Ma cosa dire della Slovenia e della Croazia? Esse facevano parte della Repubblica Federale Socialista della Jugoslavia, una nazione non allineata, che attraverso la conferenza di Belgrado del 1961 diede un enorme impeto al movimento dei non allineati, Nam. Ma dal punto di vista degli Usa, essere neutro non allineato poteva essere addirittura peggio che essere una nazione comunista. I comunisti erano perduti, avendo venduto se stessi alla triplice dittatura di Satana: pianificazione, Stato e ateismo. Ma i non allineati, pur assomigliando ai membri della Nato (la Jugoslavia ha impiegato decenni per assumere tali sembianze), non ne erano comunque membri. In ciò era presente, sicuramente, una sfida morale, essere contro “entrambe le superpotenze”, “entrambe le alleanze”, equiparandole, facendo sì che gli Usa odiassero Olof Palme più di quanto non odiassero, o la vista di Kekkonen. Gierek. Kreisky e Tito erano guardati con più sospetto che Shtromas, Kadar o Honecker. I comunisti erano prevedibili, i neutri-non allineati no.

Includere i paesi neutrali equivale ad uccidere l’opzione del neutralismo, creando una divisione netta. Il messaggio è non solo che tre nazioni sono incluse nella Nato ma che la condizione di neutrale-non allineato, da qui ai prossimi dieci anni, non sarà più un’alternativa. L’ultimo trionfo per questa linea politica sarebbe l’adesione della Svezia (la sconfitta finale di Palme), della Finlandia (la sconfitta finale di Kekkonen e della parola tipica della propaganda della Guerra fredda, “finlandizzazione”), dell’Austria (la sconfitta finale di Kreisky) e della Svizzera (la sconfitta finale della Svizzera in quanto tale) (7).

La posizione della Jugoslavia è diversa, poiché rappresenta una drammatica versione ridotta della Guerra fredda,: Serbia-Montenegro nel ruolo dell’Unione Sovietica e Slovenia-Croazia nel ruolo dei paesi baltici e della Polonia. Essendo dalla parte giusta in una guerra dove la Nato, gli Usa e i militari giocano duro, i paesi non allineati si sono già guadagnati la loro ricompensa.

In cima a tutti questi fattori c’è ovviamente quello economico. Dopo la fine della Guerra fredda le vendite americane di armi hanno subito un decremento del 50%, e gli sforzi messi in atto per recuperare parte di questa perdita attraverso la rottura del tabù della vendita di armi sofisticate all’America Latina – che innesca così una corsa alle armi dove gli Stati Uniti possono vendere a tutte le parti allo stesso tempo – non porteranno una compensazione sufficiente. Essere il fornitore principale di armi dei nuovi membri della Nato, e forse anche dell’altra parte decollerà la nuova corsa alle armi, potrebbe avere un peso maggiore. E in cima a tutto, anche qui vengono le ragioni materiali che stanno dietro l’espansionismo militare: proteggere gli interessi economici all’estero, con i depositi di petrolio nell’Asia Centrale (poiché il centro esatto del continente Eurasiatico, confinante con la Russia e la Cina è musulmano) e i paesi del Golfo (e il Mar Caspio oltre al Golfo) quali obiettivo principale per la politica estera americana. (8)

Mettendo insieme tutti questi fattori, la conclusione è ovvia: la storia dell’espansione è stata già raccontata in anticipo, e non deve sorprendere nessuno. E poi, non è finita qui. Ma il punto principale da mettere in chiaro a questo punto è il seguente: nessuno di questi fattori-ragioni-motivi presuppone, a nessuno stadio, qualche minaccia da parte della Russia. Tutte le ragioni hanno origine negli Stati Uniti: vecchi progetti di espansione militare portati avanti per inerzia (come il progetto Berlino-Baghdad di Wilhelm in Germania), il complesso del destino manifesto, la gelosia di altri grandi poteri e forti fedi, il desiderio di impersonare chi ha vinto la Guerra fredda, di essere l’arbitro che premia le buone nazioni comuniste e punisce le cattive nazioni neutrali, e tutte le ragioni economiche. Nessuna di queste ragioni dipende da quello che ha fatto la Russia, la decisione di espandersi è completamente autistica. Ma ha certamente un effetto su ciò che la Russia farà.

Il punto di vista della Russia

Tradimento e poi cosa? Anche in questo caso, qualche riferimento alla cultura profonda di una nazione è indispensabile per capire cosa stia accadendo. Così come gli Stati Uniti, anche la Russia ha un senso di missione, costruito sull’Ortodossia e collegato alla visione ontologica grazie a Stalin. Ai nostri giorni la Russia è sicuramente meno sicura di sé. L’idea di essere speciale, consacrata (la terza Roma) dovrà prendere altre forme, meno espansioniste di quelle che aveva all’epoca degli zar o durante il bolscevismo nazionalistico di Stalin.

Il marxismo apocalittico ha condannato e spazzato via il capitalismo e ha riscattato il bolscevismo nazionalistico aprendo la strada all’idea dell’Unione Sovietica quale successore trionfante: questo in teoria. Quando il collasso morale iniziò intorno al 1970, dopo che il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione di Ottobre non aveva fornito risposte alle grandi domande sugli obiettivi, i processi e gli indicatori del comunismo, doveva essere trovata una nuova formula. Se non la superiorità, almeno la parità, come nell’idea delle due superpotenze – una formula forzata che ha messo l’Unione Sovietica esattamente lì, a capo del mondo, vicino a qualcun altro ma comunque sempre al vertice. L’unico problema era che la colonna sulla quale sedevano, o presenziavano agli incontri al vertice, era fondata sull’argilla, erosa non tanto dall’opposizione o dai dissidenti quanto dall’ “anomia” – una carenza basilare di orientamento, che portava a non sapere dove andare, come, quando, perché. A morire non era lo Stato ma il sogno.

Una volta usciti dal sogno e dall’Unione Sovietica, cosa resta? La richiesta di parità, di essere trattati come eguali, con rispetto, con il potere di veto. Ma perché? A causa della paura che un tempo essi incutevano? O di quello che potrebbero un giorno diventare?

Sotto la tirannia del presentismo, indipendentemente dalla storia passata da quella futura, non si vede il motivo per cui alla Russia d’oggi dovrebbe essere concesso un posto a capotavola. Ma è proprio qui che un po’ di saggezza fa la differenza. L’Unione Sovietica ha fatto qualcosa di notevole dopo la caduta del Muro: i sovietici si sono ritirati dalle loro posizioni (dalla Germania Est circa cinque anni dopo, nell’agosto 1994), smantellando sia il comunismo che l’Unione. La domanda del “che cosa in cambio di cosa” fa sorgere una contro-domanda: avevano forse alternative, dato il dissenso all’interno delle loro stesse forze armate e dell’opinione pubblica? Ciò che si è obbligati a fare comunque, non può servire come una sorta di merce di scambio.

Altri regimi in situazioni simili, come per esempio la Germania nazista al tempo in cui tutti sapevano che la fine era vicina, diventarono anche più repressivi. L’Unione Sovietica no. Al contrario, i sovietici diedero inizio ad un processo quasi “non violento” di democratizzazione, privatizzazione e decentramento amministrativo, i tre temi fondamentali provenienti dall’esterno, come se fossero stati scelti indipendentemente dalla loro volontà, in una contrattazione tra gentiluomini (con quanto successo, è un’altra faccenda). E allora, i russi non hanno forse diritto a qualcosa in cambio? E ciò che chiedono non è forse uno status di superpotenza residua, il posto più importante alla tavola più importante? E se questo non fosse possibile, si accontenteranno di una situazione in cui il loro status attuale non venga compromesso – come sarebbe invece nel caso in cui la Nato si espandesse a Est, soprattutto se questo avvenisse senza che la Russia abbia alcuna voce in capitolo – cioè all’interno di una sorta di “mini Nato”, il Partnership per la pace? La seconda scelta per ottenere l’uguaglianza è evitare qualsiasi evidente disuguaglianza. L’espansione della Nato è una di queste.

Per i russi, questo potrebbe rappresentare il tradimento più grande: hanno fatto di tutto per accontentare l’Occidente, compreso il fatto di aver smantellato le basi nell’Europa dell’est, senza ricevere niente in cambio, se non una minima riduzione delle basi americane nell’Europa occidentale. Un bell’affare davvero. Si tratta di questioni profonde, e nessuno dotato di un briciolo di buon senso potrebbe scambiare i compromessi e le formule scambiate con Yeltsin e Primakov sull’espansione della Nato sino alla loro porta di casa, per posizioni durevoli nel tempo. Quando si tratta di questioni vitali, una firma su un trattato può valere quanto quella di un Rabin con un Netanyahu alla porta. Il problema non è tanto quello di essere sensibili alle istanze di altri politici russi, come Zhuganov o Zhirinovski, che probabilmente possono essere dimenticati quanto gli altri due, ma più semplicemente di essere sensibili ai sentimenti e alle istanze dei russi.

Da questo punto di vista la Russia appare meno un aggressore e più una vittima del confine dello Scisma del 1054, invaso dai tedeschi, dagli svedesi, dai francesi e dai polacchi (i primi tre già membri di una Nato allargata, e gli ultimi in attesa di unirsi); soprattutto se si tiene conto della guerra di intervento del 1918-22. I russi conoscono la storia. Gli americani no. Gli europei occidentali frenano, e intanto progettano la loro aggressione alla Russia. Uno dei confini più instabili è quello tra la Polonia e l’Ucraina, con lo Scisma che divide l’Ucraina, e con molti polacchi in attesa che Lwov possa tornare alla Polonia. Uno scenario possibile potrebbe vedere la Germania in movimento verso est, e inglobare non solo la Slesia Pomerania, ma anche una parte della Prussia orientale. Uno scenario simile si verificherà quando (e se) l’entrata della Polonia nell’Unione europea sarà una realtà, l’Unione europea si sarà regionalizzata, e gli investimenti selettivi porteranno i loro frutti. Nessun soldato si sarà mosso, nessun confine si sarà spostato de jure, ma di fatto tutto sarà cambiato. Quando la Germania è forte e la Russia è debole, la Polonia tende a muoversi (o a essere mossa) verso est; una situazione opposta sposta la Polonia verso occidente; se entrambi i blocchi sono deboli, la Polonia si espande, forse a scapito della Lituania (per i russi, è importante sapere che subito dopo ci sono i paesi baltici), e quando entrambi sono forti, la Polonia sparisce (i polacchi ormai l’hanno capito). In altre parole, un confine piuttosto instabile, con la Nato alle porte.

La Russia starà forse a guardare mentre succedono queste cose? Ci dobbiamo forse aspettare che la Russia abbia dimenticato i piani Marshal Pilsudski, anche se l’Occidente li ha dimenticati? Molti polacchi non li hanno dimenticati.

Non è più ragionevole credere che i russi faranno tutto quello che hanno fatto prima della Seconda guerra mondiale? Sentendosi minacciati dalla Germania, sia ai tempi del Kaiser che durante il periodo nazista, provarono a fondare la loro sicurezza sui patti stretti con l’Inghilterra e con la Francia. Ma furono respinti dai leader politici, preoccupati sì del nazismo, ma ancor più allarmati dal comunismo. Entrambi erano sistemi dittatoriali, ma in più il comunismo aveva contro la religione e la proprietà privata (la Germania era soltanto antisemita). E così i russi finirono nel patto Stalin-Hitler Molotov-Ribbentrop, con l’Inghilterra e la Francia come nemici.

Oggi, dopo essere stati nuovamente respinti, è probabile che i russi si rivolgeranno ai nemici dell’Occidente. E non dovranno andare troppo lontano. L’Occidente e gli Stati Uniti hanno molte relazioni difficili, ad esempio quella con la Cina, dove il principe Carlo “si è dimenticato” di scusarsi per il colonialismo e per aver narcotizzato un intero paese. La Russia potrebbe essere abbastanza furba da risolvere questi problemi, per non parlare dei diritti umani, e dimostrare la presenza di un movimento “a tenaglia” diretto, ovviamente, anche contro la Cina. Insieme questi due paesi potrebbero raggiungere la ovvia conclusione: se gli Stati Uniti ci vedono separatamente come un loro problema, cosa succederebbe se invece operassimo congiuntamente?

Un’altra relazione problematica per gli Stati Uniti è quella con l’Iran e gli altri “Stati furfanti” islamici sulla lista di Washington, l’Iraq, la Siria e la Libia. Ma per migliorare i rapporti con questi paesi, la Russia deve superare i suoi irrazionali pregiudizi anti-musulmani. Ma, messa al muro, senza paesi neutrali di mezzo, anche i pregiudizi possono condurre ad alleanze di convenienza, malgrado la Cecenia. Una combinazione russo-cinese-musulmana non è sulla lista di Huntington, ma sarebbe più realistica. Ma ci vorrebbe comunque un grande talento politico. Non dimentichiamoci poi che l’ex Unione Sovietica aveva buoni rapporti con l’India. Un giorno questi rapporti potrebbero essere rinsaldati, e il continente Euroasiatico si troverebbe a radunare circa metà della popolazione del pianeta contro quel movimento a tenaglia messo in atto dal blocco Occidente/Stati Uniti. Ma anche se questo scenario non dovesse mai verificarsi, a rinascere davvero sarà l’industria militare russa, che con l’obiettivo di competere economicamente con l’Occidente potrebbe anche cercare di vendere le armi sotto costo. In ogni caso, trattare gli altri come paesi di “seconda classe”, potrebbe avere come conseguenza proprio la loro alleanza.

Nell’analisi russa, una questione centrale è, ovviamente, quella dell’assenza di “Stati cuscinetto” nella geopolitica classica, se la Nato dovesse arrivare fino ai confini del 1054, e ancor più se dovessero essere inclusi nel Patto Atlantico anche la Finlandia e i paesi baltici. I russi ricordano perfettamente cosa è successo in Iugoslavia, quando l’Occidente stava sistematicamente dalla parte dei cattolici, e certe volte persino con i musulmani, contro gli slavi ortodossi, lungo un altro settore di quella erronea linea tracciata all’interno dell’Europa; e senza Stati neutrali nel mezzo.

I russi potrebbero porsi allora una semplice domanda: sarebbe stato davvero meglio se, durante la Guerra fredda, i cinque paesi non allineati dell’Europa centrale, Finlandia, Svezia, Austria, Svizzera e Jugoslavia, fossero stati membri della Nato? O è stato forse meglio avere un Kekkonnen, un Palme, un Kreisky, un qualche anonimo svizzero e un Tito che prendevano iniziative concrete, volte a creare un ponte tra i due blocchi contrapposti? Con la Nato alle porte, chi può essere in grado di ricoprire questo tipo di ruolo, mentre emergono le tensioni nel triangolo Lituania-Polonia-Ucraina, indipendentemente dagli spostamenti verso oriente della Germania? O forse si pensa che la Russia, di fronte ad una tale potenza, sarebbe più malleabile e pronta a capitolare? Chiunque sia convinto di questo dovrebbe andarsi a ripassare la storia russa, e i loro arsenali (10).

Ma cosa ne è della sicurezza e della stabilità dell’Europa dell’Est? Ovviamente, l’obiezione a un tipo di ragionamento del genere è che questo comporterebbe il sacrificio di tutta l’Europa dell’Est, dalla Svezia e Finlandia fino alla Macedonia, riguardo a un suo possibile ruolo di ponte di collegamento. Proprio perché la Nato è così forte, e adesso ha la Germania come confine orientale – con Berlino capitale molto vicina – la Russia potrebbe essere tentata di fare di nuovo quello che l’Armata rossa fece nel 1945: invadere questi paesi, soggiogarli e costringerli all’interno di un’”alleanza”. La Russia potrebbe invocare la storia per legittimare una mossa del genere: un déja-vu per tutta l’Europa dell’Est. Senza dubbio esiste un problema di sicurezza per l’Europa dell’Est, reale o percepito, che si manifesta nel desiderio di far entrare il proprio paese in una Nato che accolga la Germania come paese alleato e lasci fuori la Russia, secondo una vecchia formula della Guerra fredda. Questa è anche l’argomentazione avanzata dalla Nato in generale, e dagli Stati Uniti in particolare.

La decisione della Nato si configura come una reazione occidentale a una reazione dell’Europa orientale a una possibile azione russa. E tuttavia, l’argomentazione ha un suo senso, così come ha senso dire che l’espansione della Nato è una provocazione. Certo, nella corso della storia quasi tutte la guerre in Europa hanno visto contrapporsi tra loro i paesi occidentali, o i paesi orientali, oppure è stato l’Occidente ad attaccare l’Oriente usando lo spartiacque cattolico/protestante/ortodosso per definire i confini tra Est e Ovest. E’ vero, la Russia ha oltrepassato questo confine invadendo la Polonia, la Finlandia e i paesi baltici e poi, alla fine, l’Armata rossa ha incalzato la ritirata nazista. Ma tutto questo è niente in confronto alle invasioni dall’Ovest dei vichinghi, tedeschi, svedesi, polacchi. Una ben magra consolazione per l’Europa orientale. In ogni caso, difficilmente si è trattato di un attacco russo, che è proprio quello che essi temono.

Fare parte della Nato offre protezione ma apre alla provocazione. Ci troviamo dunque di fronte a un dilemma tipico della Guerra fredda: un buon motivo per definire il periodo che ha avuto inizio a partire dall’incontro di Madrid del 1997 la “seconda Guerra fredda”. Rendersi la vita più facile negando la realtà di un attacco da parte della Russia, o la realtà di una pericolosa provocazione, è solo segno di degrado mentale, non è frutto di un’analisi seria. Quindi, prendiamo in esame alcune soluzioni alternative.

a) Invitare la Russia a entrare nella Nato, spingendo oltre il processo di espansione. Questo risolverebbe il problema di trattare la Russia come un paese di serie B, e forse significherebbe anche un suo controllo che potrebbe soddisfare i bisogni di sicurezza dell’Europa dell’Est. Ma questa espansione sarebbe inaccettabile per la Cina e il Giappone così come quella di ora lo è per la Russia. Un effetto prevedibile potrebbe essere un’alleanza cino-giapponese, che vedrebbe contrapposto il mondo cristiano in toto (cattolico/protestante/ortodosso) al mondo confuciano/buddista. Questo esperimento mentale è utile per capire la reazione della Russia.

b) Nessuna espansione della Nato, sicurezza garantita dall’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). All’interno dell’Osce la Russia è trattata su un terreno di parità, e questo è un possibile motivo per il quale l’Occidente è meno interessato all’Osce. (Un altro è che è in competizione con l’Ue nell’integrazione europea, essendo l’Osce pan-europea.) E neppure ci sarebbe nessuna provocazione da parte della Russia. Supponendo che l’Osce fornisca il supporto economico e politico necessario, dovrebbero essere intraprese tutte le possibili misure per costruire la fiducia, comprese le garanzie in caso di attacco.

c) Nessuna espansione della Nato, cooperazione di difesa dell’Europa dell’Est. In altre parole, una Comunità europea orientale parallela alla Ce/Ue, con una forte connotazione difensiva non provocatoria. Probabilmente l’opzione migliore, ma a tutt’oggi oltre l’orizzonte politico delle elites dell’Europa orientale. Ma elementi di questa opzione potrebbero essere combinati con l’opzione b).

Dunque esistono delle alternative, e la migliore è quella di identificare i conflitti e cercare di trasformarli, in modo da poterli gestire in modo pacifico. L’egalitaria Osce è un possibile strumento per fare questo. Qualsiasi negoziato tra una Nato strapotente e paesi non-Nato è destinato al fallimento. Occorre un minimo di uguaglianza perché una trattativa abbia successo. L’imposizione non può esserne un surrogato.

Ma allora bisogna riconoscere che la stabilità ha un’altra faccia, di tipo più “domestico”. Questi stati sono stati fino a poco tempo fa dei regimi dittatoriali di tipo comunista. Oggi sono pluralisti, con un processo elettorale che consente il passaggio non-violento da un governo all’altro, anche se le loro democrazie possono essere autoritarie nel periodo tra le elezioni. Si tratta di una transizione stabile? Chi la può minacciare? I militari, ovviamente. Come stabilizzare l’esercito? Probabilmente vincolandoli all’interno di una convenzione internazionale, come è appunto la Nato. Nel dibattito sull’appartenenza alla Nato questo argomento era molto più forte di qualsiasi percepita minaccia sovietica.

L’argomento contrario potrebbe prendere due forme alternative: l’appartenenza alla Nato potrebbe non funzionare come rafforzamento delle democrazie instabili, e ci potrebbero essere altri e migliori modi per raggiungere lo stesso risultato. Perciò, l’appartenenza alla Nato rende la politica interna un effetto di cause che si trovano all’esterno di quel paese. C’è un intero complesso militare-industriale-burocratico-di ricerca al di fuori del controllo democratico che assorbirà le componenti nazionali corrispondenti, mettendole al proprio servizio. “E’ una decisione della Nato”: questa frase può sostituire l’altra: “E’ una decisione del partito”, rendendo il passato non così diverso dal presente. Tutto ciò è democratico?

Innanzitutto, la democrazia deve essere costruita in modo positivo, e non esercitando un controllo sui possibili fattori di destabilizzazione. Tutti concordano su tale affermazione, e i tre paesi candidati probabilmente hanno democrazie altrettanto ben radicate dal punto di vista strutturale e culturale quanto ognuno degli altri 16 paesi membri (11). E l’esercito può anche essere controllato in altri modi che non espandendo ulteriormente la più potente alleanza militare mai esistita nella storia.

Esiste, ovviamente, una teoria alternativa che giustifichi il desiderio dell’Europa dell’Est di entrare nella Nato. Una teoria che ha più a che fare con Unione europea e il benessere economico che non con la Nato e la sicurezza militare. C’è un grande bisogno di diventare membri europei di serie A, a cominciare dall’insistenza con cui si rivendica l’appartenenza all’Europa centrale piuttosto che a quella orientale,e a quella occidentale piuttosto che a quella centrale. L’Ue è ovviamente il club dell’Europa occidentale – solo l’Irlanda, la Norvegia e il Liechtenstein non sono interessati a farne parte. Quando si chiede di entrare a far parte di un club, di qualsiasi tipo esso sia, bisogna assomigliare ai membri di quel club. E i membri della Nato hanno armi Nato, che di solito equivale a dire armi Usa. (12) Si acquistano armi Usa per acquisire l’appartenenza alla Nato, e l’appartenenza alla Nato per acquisire l’appartenenza all’Unione europea, e il gioco è fatto. (13)

In effetti questo può funzionare, ma può anche non funzionare. Come si è detto prima, i prossimi della lista sono probabilmente i paesi baltici e la Slovenia/Croazia, dopodiché è probabile che non ci saranno ulteriori aperture (eccetto che per la Svezia, la Finlandia e l’Austria). Date le spese, i rischi sono considerevoli; dati i ritorni dell’appartenenza all’Ue, anche i possibili guadagni sono considerevoli. Potrebbe valere la pena di rischiare, non calcolando la provocazione.

E i paesi dell’Europa occidentale?

I mezzi d’informazione euro-centrici occidentali si sono occupati poco dell’aspetto globale dell’espansione Nato, e a volte non se ne sono occupati affatto. Dato che di solito la Russia viene considerata come autistica, poiché ha la tendenza a seguire le proprie inclinazioni generalmente discutibili, nessuno si è mai preoccupato di immaginare una sua possibile reazione, se non in riferimento alla solita confusione tra ciò che i leader russi possono dire o firmare oggi, e le più profonde preoccupazioni del paese. Ciò di cui si è discusso sono state le conseguenze amministrative, logistiche e soprattutto economiche: il cartellino del prezzo.

Questa contrazione dell’orizzonte politico e intellettuale è comprensibile dal momento che gli unici interessi di questi paesi sono al momento concentrati sull’euro. I maggiori paesi occidentali sono finanziariamente alle prese con i parametri da rispettare; prima che si realizzi l’unione monetaria, ogni ulteriore spesa (e l’espansione Nato è costosa e comporta dei rischi per tutti) ridurrebbe ulteriormente i margini di bilancio. Ci sono due possibili vie d’uscita: posticipare il pagamento del prezzo per l’espansione, e avvicinare la data dell’euro. I paesi interessati sembrano aver scelto entrambi i metodi.

Si tratta forse di un complotto degli Stati Uniti per impedire la realizzazione dell’euro, il simbolo chiave del successo dell’integrazione europea? (14) E’ possibile, ma non è detto che sia così. Gli Usa sono al momento molto più indebitati, ma si comportano come se non lo fossero; i paesi europei non sono in così pessime acque ma si comportano come se lo fossero.

A parte questo, eliminare l’Europa dell’est dalle mire dell’espansione militare tedesca e spostare i confini militari ancora più a est, fino alla Russia, può sembrare vantaggioso per chi considera la Russia come autistica e quindi o non considera possibile che sorgano dei conflitti, o li considera irrisolubili, o vuole che siano i paesi occidentali a dettare le condizioni. Ad ogni modo, andare verso est è una vecchia tradizione europea. Quindi non si discute.

Conclusioni

La decisione di espandere la Nato è così negativa che, al confronto, il trattato di Versailles può sembrare un’operazione brillante. Quel trattato umiliava una Germania che, dopotutto, aveva dato inizio alla Prima guerra mondiale. Dopo la Seconda guerra mondiale ci si adoperò molto per non ripetere quell’errore, sebbene ci siano voluti 45 anni per superare la divisione, e la Guerra fredda abbia consentito alla Germania occidentale di Adenauer di passare dalla situazione di nemico a quella di alleato da un giorno all’altro, senza mai essere neutrale. Ma in quel momento, probabilmente, ha prevalso la formula del periodo tra le due guerre: il nemico reale era l’Unione Sovietica, che minacciava le strutture sociali dell’occidente.

Comunque sia, l’Unione Sovietica non esiste più e il comunismo è scomparso da tempo. Allora, perché alla Russia dovrebbe essere riservato lo stesso tipo di trattamento che si venne usato per la Germania del Kaiser se non per la Germania nazista? Quanto più i paesi occidentali si addentreranno in questo apparente enigma, tanto più concluderanno che tutto ciò non solo è ingiusto, ma probabilmente profondamente anti-russo, inteso in senso irrazionale, come riflesso del subconscio collettivo dell’occidente. La reazione andrà nella direzione opposta a quella che l’espansione della Nato pretende di avere come conseguenza: la stabilità.

Ci possono essere dei palliativi per Mosca, come per esempio rappresentare “una mano libera” nel Caucaso, cioè nel Sud. Ma questa è anche una ricetta per il disastro, viste le enormi riserve di petrolio del mar Caspio e delle zone limitrofe, e sicuramente non è ciò di cui ha bisogno la popolazione caucasica. E comunque, si tratta di una soluzione veramente a breve termine.

Prognosi: un aumento della tensione lungo la linea di confine assolutamente superfluo, una corsa agli armamenti, l’emergere di alleanze che saranno interpretate come “prova” degli intenti aggressivi della Russia e della saggezza del progetto di espansione Nato. E un giorno, forse, una versione macroscopica del micro-conflitto jugoslavo. In breve, la II Guerra fredda.

(1) Per questa previsione della penetrazione occidentale nell’Europa dell’est e nell’Unione Sovietica come risultato della fine della Guerra fredda, si veda il mio resoconto alla Commissione Politica della Comunità europea nel marzo 1990. In quell’occasione ho dichiaratamente parlato di penetrazione economica, politica e culturale, non di espansione militare.

(2) Mi riferisco al Jcs (Joint Chiefs of State) 570/2 presentato al presidente Roosevelt, su sua richiesta, nell’agosto 1943. Il piano prevedeva una regione “delimitata in nero” nell’estremo Pacifico sud-occidentale, Indocina, Cina orientale, Corea e Giappone, alla quale gli Stati Uniti avrebbero avuto un “diritto di partecipazione” come una delle “grandi potenze che sostengono la pace”. (Si veda Peter Hayes et al., Nuclear Peril in the Pacific – London: Penguin, 1986, p. 19). Se a questo aggiungiamo la tradizione iniziata dal National Security Council (Nsc – Consiglio di sicurezza nazionale) 68 per la strategia europea della Guerra fredda, il quadro generale è chiaro. Il fatto che questi piani siano stati elaborati in periodi di crisi, rispettivamente della Guerra del Pacifico e della Guerra fredda, ciò significa che sono ormai profondamente istituzionalizzati, e che non verranno facilmente abbandonati una volta finite le condizioni di crisi.

(3) Il defunto ayatollah Khomeini, grande comunicatore come il suo contemporaneo Ronald Reagan, sosteneva un messaggio equivalente: portare la sua versione dell’Islam all’Iran, poi al mondo musulmano, infine al mondo intero. Stati Uniti e Iran, essendo così simili, non solo si comprendono reciprocamente ma sono anche perfetti per demonizzarsi l’un l’altro.

(4) International Herald Tribune, 31 agosto 1995

(5) Gli Usa dovrebbero meditare sul fatto che una stella nascente è sempre guardata con ammirazione, a maggior ragione le cinquanta stelle degli Stati Uniti. Ma una stella cadente attira anche maggiore attenzione. E una stella incapace di smettere di crescere, potrebbe essere sull’orlo di una caduta anche più profonda. Bisogna osservarla.

(6)Per un’analisi di questo patto di alleanza della Guerra fredda, si veda Johan Galtung “The Cold War as an Exercise in Autism”, cap. 5 in ‘Transarmament and the Cold War’ – Copenhagen: Ejlers, 1988 (Essays in Peace Reserch, vol. V), pp.81-106.(7) Così, i commenti degli Stati Uniti sui conti bancari della Svizzera in generale e sulle vittime dell’Olocausto in particolare, tendono a includere delle osservazioni caustiche sul neutralismo.

(8) Il discorso fatto in concomitanza con le recenti e altamente prevedibili manovre di paracadutisti Usa in Kazakhstan è interessante: “per esercitare la tutela della pace internazionale”. Tra i paesi partecipanti erano inclusi Usa, Russia, Turchia, Kazaakhstan, Kyrgyzstan e Uzbekistan: in altre parole, non l’Iran. Il comandante in capo del Comando Atlantico, sponsorizzando l’esercitazione, è stato più esplicito: “Il messaggio che vorrei lasciare è che non esiste alcuna nazione sulla faccia della terra che noi non possiamo raggiungere(?)” (International Herald Tribune – 16 settembre 1997)

(9) E la Cina è andata anche oltre: “Cercando di raccogliere il sostegno del sud-est asiatico, la Cina, venerdì, ha improvvisamente intensificato la pressione sul Giappone …. per aver rafforzato l’alleanza militare con gli Stati Uniti su Taiwan. Diversi paesi sono privatamente convinti che è stato un atto provocatorio e non necessario della Cina che potrebbe divenire una seria sorgente di instabilità nella regione del pacifico asiatico. (International Herald Tribune, 23-24 agosto 1997).

(10) Un testo base si avrà se lo Start II sarà ratificato, come messo in evidenza da Alexei Arbatov. “Una Nato che striscia verso est è dannosa per i democratici russi” International Herald Tribune, 28 agosto 1997.

(11) Naturalmente c’è anche la speranza dei democratici che gli immigranti Usa da questi paesi possano ricompensare il Presidente che li abbia premiati accettando le loro candidature.

(12) Questo punto, i vantaggi economici che avranno gli Stati Uniti dopo aver perso il 50% a causa della fine della Guerra fredda, è messo in evidenza con molta enfasi da José Vidal-Beneyto in “Europa y la ‘pax’ americana”, El Pais, 6 luglio 1997.

(13) L’intento nascosto dietro i discorsi imbonitori è stato chiaramente descritto da un comunicato stampa Lockheed-Martin che annunciava l’acquisto da parte della Romania di equipaggiamento per radar del valore di 82 milioni di dollari nel novembre 1995. “La Romania e tutti i paesi dell’est europeo vorrebbero diventare paesi Nato, e, comprando questi radar, hanno l’opportunità di mostrare il loro interesse ad avvicinarsi alla Nato”. Nel comunicato stampa Lockheed era citato Sergiu Verona. Era descritto come un “consulente che ha aiutato la Lockheed.-Martin a seguire l’affare con la Romania”. Citato da Bill Messler, “Nato’s New Arms Bazaar”, The Nation, 21 luglio 1997, p.26.

(14) Yehudi Menuhin, in “Enlarging Nato”, International Herald Tribune, 22 luglio 1997, sostiene che “gli Stati Uniti potrebbero ottenere l’impoverimento dei paesi europei, rendendoli troppo indebitati per poter costruire la loro Unione Europea”, per farne, tra le altre cose, un più grande mercato per le armi, un più ampio mercato per i prodotti commerciali in uno stato di generale servitù.

(15) Arbatov, ibid. la mette in questi termini: “Nella peggiore delle ipotesi, l’espansione Nato è vista come un coronamento del “grande disegno” di circondare e isolare la Russia, ottenendo una schiacciante superiorità strategica su di essa e sopprimendola infine con il potere europeo una volta per sempre”.

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