L’impossibilità di essere moderni: la cultura antiscientifica degli italiani

È un vero è proprio cahier de doléance questo lavoro scritto a due mani dal giornalista televisivo e divulgatore scientifico Elio Cadelo a dal sociologo Luciano Pellicani, ordinario di Sociologia Politica alla Luiss, direttore della rivista di area socialista Mondoperaio e collaboratore di Bettino Craxi, poi confluito nelle fila dell’SDI ed infine candidato al senato (non eletto) nel 2006 nelle liste della Rosa nel Pugno. Il tutto argomentato in maniera stringente, con il sottotitolo piuttosto ambizioso Le radici della cultura antiscientifica in Italia.

Ci pensa tra l’altro Pellicani a sintetizzare ulteriormente in poche righe le sue argomentazioni: “L’estinzione della subcultura neofascista e la bancarotta planetaria del comunismo non hanno portato alla riconciliazione della cultura italiana con la scienza, la tecnica, il mercato, poiché la scena è stata occupata da nuove e più sofisticate forme di irrazionalismo e di anti-illuminismo: la Gnosi di Martin Heidegger, la cosiddetta filosofia postmoderna, l’ideologia della decrescita e l’ecologismo radicale, profondamente ostile al progresso scientifico-tecnologico”.

Almeno un altro fondamentale attore manca in questo tragico elenco, e per tutto il libro verrà assai poco chiamato in causa direttamente, ma questo lo vedremo in seguito.

I numeri avvilenti riguardo alle competenze scientifiche degli Italiani che le varie ricerche nazionali ed internazionali non smettono di pubblicare, hanno la radice nel pensiero e nelle opere di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile. Quest’ultimo, nel 1923, riformò i programmi scolastici affermando il primato assoluto della filosofia idealista sulle scienze positive a cui non veniva attribuito alcun valore cognitivo. Le élite politico-amministrative italiane ricevevano una formazione prettamente umanistica e giuridica: poco o nulla sapevano di matematica, scienza e tecnologia, considerate materie di studio per le classi inferiori. A distanza di molti decenni nulla è cambiato, basta scorrere il cursus studiorum (ammesso e non concesso che ci sia …) di parlamentari e ministri.

Durante il fascismo e nel primo dopoguerra, argomentano i nostri Autori, la scienza mantenne quindi una posizione di isolamento. Le “credenze positivistiche” erano considerate solo concetti di comodo, di utilità pratica, che a nulla avevano a che fare con la ricerca del vero che doveva essere riconosciuto nella religione, nel crocianesimo, nel marxismo dialettico. Eppure il miracolo economico era ormai alle porte e gli scienziati italiani che avevano resistito all’emigrazione si trovarono a disposizione una buona quantità di mezzi. Fu l’epoca d’oro della ricerca : Enrico Mattei (energia), Marotta (biochimica ), Felice Ippolito (nucleare), Adriano Olivetti (Elettronica) misero in piedi strutture e competenze destinate a durare ed affrancare il nostro Paese dalla dipendenza straniera. Pellicani si limita a citare brevemente il fenomeno senza entrare nel merito delle circostanze e delle responsabilità del loro fallimento, che, ormai lo sappiamo, non furono solamente “nazionali”.

L’attacco alle idee dell’Illuminismo – la rivincita dell’uomo rimasto orfano di Dio, smarrito dalla perdita, fin dai tempi di Galileo, dell’alleanza tra conoscenza e senso – sono state portate da più parti. Le élite ed il popolo colto sono stati di volta in volta influenzati dal pensiero della Scuola di Francoforte e dal “maestro degli studenti in collera“ Herbert Marcuse, con la sua violenta contestazione della modernità, i cui motivi furono ripresi in Italia dal fisico Massimo Cini nel suo celeberrimo “L’ape e l’architetto” (1976).

Anche ai giorni nostri, le idee di Cornelius Castoridis e di Serge Latouche fanno da sponda ai sentimenti antimoderni della ragione ecologista, che attraverso la decrescita mira ad un diverso tipo di mercato e di capitalismo. La teoria terzomondista, che ha tra i più noti esponenti il “liquido” Zygmund Bauman vede nel capitalismo “scientista” esclusivamente un sistema parassitario che sfrutta fino ad ucciderli il sangue dei popoli del Sud, ma così facendo distruggerà anche sé stesso.

“Solo la scienza e la tecnica ( nate dall’“odiata” borghesia) possono rispondere alla sfida ecologica senza bloccare lo sviluppo economico” afferma Pellicani. Come non dargli ragione?

Nella seconda parte del libro, Elio Cadelo sforna il solito impressionante ed avvilente rosario delle italiche mancanze: pochi laureati, pochissimi nelle materie scientifiche e tecnologiche; investimenti in ricerca e sviluppo pressoché inesistenti; disinteresse da parte di partiti e governi nei confronti della ricerca scientifica. Siamo al di sotto della media europea in qualsivoglia campo, non un solo dato è in nostro favore. E con la crisi la situazione si va facendo, se possibile, ancora più drammatica.

Il catastrofismo delle previsioni contenute nel Rapporto sui limiti dello sviluppo da parte del Club di Roma (1972), argomenta ancora Cadelo, sono state smentite dal progresso della scienza che ha nel frattempo trovato soluzioni a molti problemi, un tempo impreviste ed imprevedibili. Anche il pessimismo maltusiano e le sue “visioni apocalittico – demografiche” non avevano tenuto conto “che la mente umana era anch’essa un fattore nell’economia politica e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere di invenzione”. L’ecologismo moderno e la sua idea che la modernità sia la causa dei mali dell’uomo (Cadelo ne individua la genesi persino nel Ministro dell’agricoltura del Terzo Reich Walther Darré ) si concretizza politicamente nella rivolta di ampi strati della popolazione nei confronti delle più moderne infrastrutture (ponte sullo stretto di Messina e TAV, ad esempio), dei trasporti, dell’ingegneria genetica …

Il progresso scientifico e tecnologico, supportato dal mercato, cambia e cambierà sempre di più la nostra vita: “il fatto che la gran parte degli Italiani sia estraneo all’avanzamento delle conoscenze scientifiche ha conseguenze profonde sulla vita quotidiana e sulle scelte politiche ed economiche di tutto il Paese”. Ciò che non si conosce fa paura, e la paura induce a sospetto e rifiuto.

Come non essere d’accordo con tutto ciò? Eppure la perentorietà di tante affermazioni e la strumentalità di alcune di esse – accidenti dovuti forse alla brevità del lavoro – qualche perplessità la suscitano. Vediamo di esaminarne alcune.

Si accenna solo en passant al ruolo della Chiesa cattolica e dei suoi “valori non negoziabili” nella politica italiana e nei confronti della ricerca scientifica in particolare. Per non parlare della mentalità scientifica, il sempre disprezzato “scientismo”. Mi resta difficile immaginare che i lavori dei filosofi della Scuola di Francoforte ed i libri di Marcuse, nella loro a volte densa complessità, abbiano potuto influenzare il popolo italiano e i suoi rappresentanti (dei quali non ci si stanca di evidenziare l’evanescente cultura) al di là di un vago Zeitgeist. Un’influenza più potente dell’ingerenza concreta e pesante delle gerarchie cattoliche in ogni questione riguardante la ricerca e la “la vita” (fecondazione assistita, cure palliative, ricerca sulle staminali embrionali, contraccezione, ecc …)?

Il pensiero scientifico stesso, poi, mette in dubbio per la sua stessa natura tutto un sistema di credenze e tradizioni nelle quali le religioni trovano fondamento e sostanza: una sorta di perpetuo distinguo, di mistificazioni, di teoria delle “doppie verità”, è sempre quindi in agguato, (magistrale, a riguardo, l’articolo di Telmo Pievani Con buona pace dei teologi (eretici e non) sul n. 1 di MicroMega di quest’anno) e, nei momenti in cui occorre che la politica faccia una scelta, raramente è l’approccio scientifico ad avere, nei fatti, la meglio.

Riguardo alla affermazione che anche la mente umana proceda pari passo con la crescita (numerica) della società accompagnandola con una altrettanto forte crescita del potere di invenzione, penso che il nostro cervello si dovrà dare un gran da fare per “accompagnare “ altri due miliardi di individui che l’Onu stima si aggiungeranno agli attuali 7 nei prossimi 30 anni (ed una successiva decrescita non è affatto certa). Per non parlare dei milioni e milioni che nel presente vivono in stato di estrema povertà, precarietà ed abbruttimento. Siccome oltre al cervello – ai giorni nostri più che mai – occorrono anche mezzi imponenti e la volontà politica di apparecchiarli, temo che il compito sarà assai arduo.

Per i motivi più vari, però – non ultime le istanze religiose – il problema del sovraffollamento del Pianeta riscuote poco appeal nel nostro Paese.

La citazione di Walther Darrè (con tutto il sentiment che ogni riferimento ai gerarchi del Terzo Reich ancora genera…) come ispiratore del pensiero ecologista, se non pretestuoso pare almeno inopportuna: non ce ne è affatto bisogno, le rimanenti argomentazioni degli Autori a riguardo sono più che convincenti. 

Il libro

Elio Cadelo, Luciano Pellicani

Contro la modernità

Edizioni Rubettino, 2013, 172 pp., euro 10,20

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1 commento

  1. Concordo sul fatto che in neanche 200 pagine non si possa pretendere l’esaustività in un argomento così complesso… non concordo sull’ottimismo dell’autrice della recensione riguardo il freno rappresentato dalla Chiesa cattolica… la realtà è che il “vago Zeitgeist”, il sentiment, l’aria che tira in italietta è ben più arretrato e sterilmente modaiolo di quanto non sia la Chiesa stessa, e non da adesso, anche sui temi della vita! Direi inoltre che politicanti italici, responsabili e della ricerca e dei programmi scolastici, giova ricordarlo, non vengono da Marte, sono espressione dell’italico “popolo”. Pretendere con tale sfoggio di ipocrita “cultura” umanistica/psicologica/sociologica/politica (che possiamo ammirare da tanti anni nel parlamento italiano ridotto a parlatoio inconcludente in nome di chissà quale concetto di “democrazia”) di ambire ad essere un paese meno arretrato mi sembra pretendere troppo.

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